«Io credo che la magistratura abbia dato ampia dimostrazione di sapersi autoriformare. E non penso che per rendere ancora più efficace e trasparente l’azione del Csm serva un intervento della politica, di una componente laica nuova e salvifica, né di gruppi associativi della magistratura come quello che fa capo a Piercamillo Davigo che poi tanto nuovi non sono». Eugenio Albamonte ha da poco concluso il suo anno di presidenza all’Anm, nella quale resta impegnato come componente del Comitato direttivo centrale e come autorevole esponente di uno dei maggiori raggruppamenti, Area. Il magistrato, che esercita funzioni di pm alla Procura di Roma, replica senza un pregiudiziale spirito di contraddizione ad Antonio Esposito, l’ex giudice che sul Fatto quotidiano di ieri ha auspicato una sorta di “irruzione” da parte di laici nominati dai cinquestelle che, in alleanza appunto con la corrente di Davigo, dovrebbe quasi commissariare il Consiglio superiore e il resto della magistratura associata.

Il dottor Esposito parte da un altro aspetto: la scelta, annunciata dai cinquestelle, di non indicare per Palazzo dei Marescialli alcun parlamentare.

E non mi pare sia un’impostazione da contestare, anzi: in punto di principio sono d’accordo. Avremmo una componente laica più aderente al dettato costituzionale, la cui politicità possa esaurirsi nel mero fatto di essere stata indicata dal Parlamento. L’influenza diretta dei partiti può essere pericolosa, vista la delicatezza della materia.

A cosa si riferisce?

Chi ha fatto vita di partito è più portato a farsi cinghia di trasmissione della forza politica che lo ha indicato. E pensiamo cosa può voler dire scegliere un determinato magistrato per guidare la Procura in una realtà amministrata, sul piano politico, da un certo partito. O immaginiamo il tipo di interferenza che può verificarsi se una componente laica del Csm silura con una pratica per incompatibilità ambientale un magistra- to impegnato in inchieste contro la stessa forza politica a cui quei laici fanno riferimento. Certo, è vero che anche chi non viene dai quadri del partito può non essere privo di una propria, pregressa militanza culturale, ma la militanza politica tout court è evidentemente qualcosa di diverso.

Resta sempre un margine di dubbio sulla ratio della norma Costituzionale: lasciare in capo al Parlamento la scelta di una parte dei consiglieri superiori non dovrebbe servire anche a bilanciare il potere giudiziario con quello legislativo?

Guardi, premesso che la presenza di ex parlamentari nel Csm è sempre stata piuttosto sporadica, mentre hanno prevalso i rappresentanti, non direttamente connotati, dell’avvocatura e dell’accademia, si è più spesso interpretato l’articolo 104 della Costituzio-ne come finalizzato a evitare il rischio di una autoreferenzialità dei magistrati. Obiettivo perseguito appunto con l’ingresso nel Csm del resto della società, e in particolare di quella parte di società impegnata sulle questioni del diritto. Il Csm, come si è detto spesso, non è un soggetto politico generale: si occupa solo di politica della giurisdizione.

Arriva Davigo e, insieme ai cinquestelle, rivolta il Csm come un calzino?

È chiaro come la componente di Davigo si sia avvantaggiata del fatto di non essere coinvolta in modo concreto nelle dinamiche decisionali della magistratura: ha avuto un solo eletto al Csm, all’Anm se n’è andata all’opposizione dopo il proprio anno di presidenza. Una posizione di comodo, in cui non deve assumersi la responsabilità di portare a casa il risultato. Le cose cambieranno, da questo punto di vista, perché è plausibile che il coinvolgimento di Autonomia & Indipendenza nel prossimo Csm siam aggiore.

E davvero potrebbe esserci una sorta di commissariamento da parte dei moralizzatori, come sembrerebbe auspicare il dottor Esposito?

Se guardiamo alle proposte concrete, quelle di Autonomia & Indipendenza mi paiono piuttosto semplicistiche. Assomigliano abbastanza alle mirabilie che in politica vengono lasciate intravedere da chi fino a quel momento è rimasto all’opposizione. E poi, dire che il gruppo di Davigo sia la novità, per la magistratu-ra, mi pare un po’ una truffa delle etichet-te.

In che senso?

Nel senso che è costituito da magistrati che hanno fatto chiaramente parte della vita e della storia della magistratura italiana, che sono già stati eletti al Csm o vi hanno lavorato, che hanno comunque fatto vita associativa anche con incarichi nelle relative strutture. Dopodiché anche il contributo di quel gruppo potrà essere importante, per un’opera di autoriforma del Csm in cui tutti crediamo, ma non può esserlo attraverso critiche delegittimanti e distruttive.

Sui criteri di nomina, anche dal suo gruppo c’è chi, come Piergiorgio Morosini, ha ipotizzato soluzioni piuttosto drastiche, come la assegnazione degli incarichi semidirettivi attraverso il coinvolgimento dei magistrati che lavorano nell’ufficio giudiziario in questione.

Ecco, mi pare un esempio che dimostra come sul Csm ci sia un cantiere aperto, che le proposte innovative non mancano e che provengono dallo stesso organo di autogoverno. Meno praticabile mi pare invece il ritorno al criterio dell’anzianità senza demerito, proposto dalla corrente di Davigo: affidare gli incarichi direttivi solo a magistrati a fine carriera non è certo una garanzia di efficienza, considerato che ormai chi diventa procuratore o presidente di Tribunale è costretto a inventarsi capacità manageriali che pochi insegnano.

L’arrivo al Csm dei laici indicati dai cinquestelle e di qualche davighiano in più può essere lo stimolo perché la magistratura si riformi da sola?

A me sembra che negli ultimi vent’anni si sia andati avanti proprio grazie a questa capacità di autoriforma, che ha aperto un varco di efficienza e trasparenza anche nella ristrettezza delle risorse. Non vedo una capacità salvifica né della politica in senso lato, che credo debba piuttosto occuparsi di riformare se stessa, né in una sola componente laica, né nell’arrivo al Csm di un gruppo associativo nuovo che poi, come detto, tanto nuovo non è. La forza è in tutta la magistratura e nella convinzione diffusa che il Csm rappresenti la migliore forma possibile di autogoverno, da rendere ancora più efficace anche agli occhi di chi partecipa alla giurisdizione come l’avvocatura e dell’intera società.