Al carcere minorile Beccaria di Milano non c’è stata una rivolta, ma una protesta rientrata dopo poche ore. Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, sottolinea l’importanza di una corretta informazione, soprattutto nell’utilizzo giusto dei termini, riconoscendo la differenza tra rivolte e proteste. «I ragazzi hanno manifestato il loro dissenso in modo pacifico, senza violenza, e le loro azioni sono rientrate dopo poche ore», dichiara Gonnella.

Secondo il presidente di Antigone, l'utilizzo del termine “rivolta” è inappropriato e rischia di stigmatizzare ulteriormente la situazione già tesa all'interno del carcere. «Dobbiamo evitare di criminalizzare le proteste», afferma Gonnella. «Piuttosto, dovremmo sforzarci di capire le ragioni del malessere dei ragazzi e cercare di risolvere i problemi che li affliggono». Sottolinea inoltre che le proteste del Beccaria non sono un caso isolato. «Negli ultimi mesi ci sono stati diversi episodi di tensione all'interno del carcere», spiega. «Questo è un segnale che qualcosa non va e che è necessario un intervento da parte delle istituzioni».

Il presidente di Antigone propone un dialogo costruttivo tra le diverse parti coinvolte - istituzioni carcerarie, Comune di Milano, Regione Lombardia, magistratura, avvocatura e società civile per trovare soluzioni concrete ai problemi del Beccaria. «Dobbiamo lavorare per ripristinare la fiducia tra i ragazzi e le guardie», afferma Gonnella. «Solo attraverso il dialogo e la comprensione reciproca potremo evitare che si verifichino ulteriori proteste in futuro».

Altro punto importante è la sua critica nei confronti del disegno di legge sicurezza, che prevede pene sproporzionate per le rivolte carcerarie, anche non violente. «Se questo ddl fosse stato in vigore», spiega, «i ragazzi del Beccaria avrebbero potuto essere condannati fino a 8 anni di carcere, con l'esclusione dai benefici penitenziari». «Anche perché – sottolinea sempre Gonnella – le proteste carcerarie sono un'occasione per denunciare problemi e malessere». E conclude: «Non devono essere represse, ma ascoltate e comprese. Solo così potremo costruire un sistema carcerario più giusto e umano».

Le dichiarazioni del presidente di Antigone sollevano importanti questioni sulla gestione delle carceri minorili in Italia, ma anche un monito nei confronti del disegno di legge sulla sicurezza che minaccia lo Stato di diritto. Pensiamo appunto al nuovo reato di rivolta carceraria. Il reato equipara le proteste violente a quelle non violente, punendo anche chi si oppone pacificamente agli ordini in carcere, nei centri di accoglienza o nei Centri di permanenza per il rimpatrio. Le pene previste sono severe: fino a 8 anni di reclusione, con possibile applicazione del 4 bis, il famoso articolo dell’ordinamento penitenziario ostativo ai benefici penitenziari, pensato inizialmente per i reati di terrorismo e criminalità organizzata, poi via via allargato ad altri reati fino ad arrivare – tramite questo disegno di legge – perfino a chi protesta nelle carceri.

Secondo le organizzazioni come Antigone o l’Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione ( Asgi), questo nuovo reato rischia di stravolgere il modello penitenziario italiano, riportandolo indietro al regime fascista del 1931. La logica repressiva del disegno di legge, infatti, equipara le proteste sociali all'attività criminale, criminalizzando di fatto i manifestanti. Inoltre, il disegno di legge introduce una sorta di immunità funzionale per le forze dell'ordine, che godrebbero di un privilegio giuridico in caso di lesioni subite durante le proteste. Questo significa che le lesioni inflitte dai manifestanti vengono considerate più gravi di quelle inferte dalla polizia. L'approvazione di questo reato potrebbe avere conseguenze negative sul sistema penitenziario italiano, alimentando tensioni e rendendo più difficile il dialogo tra detenuti e istituzioni. Le associazioni che tutelano i diritti umani chiedono una revisione del testo, invitando il Parlamento a privilegiare un approccio più garantista e rispettoso dei diritti umani.