Venticinque anni e otto mesi di carcere per 32 grammi di eroina. Una pena pesantissima quella inflitta da un tribunale thailandese a Nicola Giuseppe Scomparin, 47enne di Ivrea, pena che avrebbe dovuto scontare fino al 2025 se pochi giorni fa il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non gli avesse concesso la grazia.

La motivazione sul decreto firmato dal capo dello Stato è la fotografia di un’ingiustizia durata 10 terribili lunghi anni: la pena già scontata, infatti, è «notevolmente superiore a quella normalmente inflitta in Italia per fatti analoghi». Anzi: in Italia, forse, non sarebbe mai nemmeno finito in carcere. Ma lì, in Thailandia, Scomparin ha rischiato la pena di morte. Dopo sei anni trascorsi in un carcere asiatico, è stato estradato in Italia. Ma anche qui la giustizia è stata dura: i giudici della Corte d’appello hanno infatti riconosciuto quella sentenza, condannando Scomparin a scontare il resto della pena nel suo paese.

L’arresto.

Aveva 37 anni quando, a settembre del 2006, le autorità thailandesi lo beccarono con 32 grammi di eroina e 9 grammi di marijuana, 37 dosi in totale. «Droga che deteneva per uso personale», ha spiegato il suo avvocato, Andrea Lazzari. L’accusa mossa dalle autorità asiatiche era però pesantissima: spaccio internazionale di sostanze stupefacenti. Un reato che laggiù si paga in ogni caso con la vita: la morte tramite iniezione letale o l’ergastolo.

Scomparin ammise subito le proprie responsabilità, evitando così quell’iniezione di veleno ma guadagnandosi un quarto di secolo dietro le sbarre. In Thailandia ci era arrivato nella primavera del 2006, un viaggio che aveva sognato per tutta la vita e che per i primi mesi sembrava andare a gonfie vele. Fino a quella condanna disumana in un carcere disumano, dove vengono ammassati fino a 50 detenuti per cella, con poco cibo, poca acqua, alla mercé di malattie di ogni genere e dove gli uomini considerati pericolosi vengono tenuti giorno e notte con le catene alle caviglie.

Il ritorno in Italia e le sviste burocratiche.

Scomparin rinunciò all’appello in Thailandia, grazie ad un accordo che consentiva agli italiani di scontare parte della detenzione nel loro Paese, presentando domanda una volta trascorsi quattro anni dalla sentenza definitiva. Così tornò in Italia a ottobre 2012, con la dote di due amnistie concesse dal re nel 2011 e nel 2012, in occasione di avvenimenti legati alla dinastia.

Sconti che riducevano la detenzione di quasi due anni, portando la condanna a 18 anni, che tra buona condotta e affidamento in prova si sarebbero potuti ridurre ad otto. Ma di quei provvedimenti, nel faldone dell’estradizione, non c’era traccia. Così la Procura di Roma gli riconobbe il massimo della pena prevista in Italia per quel reato: 20 anni e 2 mesi. La famiglia, sostenuta dall’avvocato Lazzari, non si è però arresa, arrivando così ad ottenere la grazia. Una decisione arrivata dopo il parere favorevole espresso dal ministro della Giustizia e grazie alla buona condotta di Scomparin durante il periodo di detenzione. Anni di inutile dolore, privato della libertà e beffato dalla burocrazia.