Si può giudicare la tenuta psichica di un bambino senza nemmeno parlarci? Col caso Bibbiano è successo. C’è una perizia lunga 160 pagine sui casi dell’inchiesta “Angeli e Demoni”. Una perizia che passa al setaccio ogni storia, cercando di rispondere ad un quesito: i bambini hanno subito dei traumi dall’allontanamento dai loro genitori? E la risposta è chiara: per tutti, in futuro, ci saranno disturbi borderline di personalità, disturbi antisociali e dell’umore, con note di ansia e autolesionismo. Un destino segnato, terribile.

Ma a questa conclusione l’autrice della perizia ci arriva senza ascoltare i bambini, analizzando soltanto il materiale fornito dalla procura. Nemmeno uno sguardo ai fascicoli dei servizi sociali finiti sotto accusa e, soprattutto, nessuna valutazione diretta dello stato psicologico dei minori. Nessun contraddittorio. E ciò per volere della stessa pm che le ha affidato l’incarico, Valentina Salvi, come chiarisce la psicologa a pagina 15 della sua perizia. «Non si è provveduto a incontrare i minori su richiesta della procura», scrive la psicologa nelle premesse metodologiche del suo lavoro. Una metodologia in conflitto con quanto esplicitato dall’articolo 8 delle linee guida deontologiche per lo psicologo forense: il professionista incaricato, si legge, «esprime valutazioni e giudizi professionali solo se fondati sulla conoscenza professionale diretta, ovvero su documentazione adeguata e attendibile. Nei procedimenti che coinvolgono un minore è da considerare deontologicamente scorretto esprimere un parere sul bambino senza averlo esaminato». Quest’ultimo appunto rimanda alla Carta di Noto, ovvero proprio quel documento che, nell’inchiesta, è stato usato come Bibbia metodologica da contrapporre al metodo Cismai, quello dello psicoterapeuta Claudio Foti, per il quale l’accusa ha chiesto il rinvio a giudizio. La vicenda è nota al mondo intero come “caso Bibbiano”, quello dei servizi sociali accusati di aver inventato abusi sui bambini da parte dei genitori per alimentare il business degli affidi.

La perizia sposa la teoria avanzata dalla procura di Reggio Emilia, arrivando a sostenere che l’allontanamento avrebbe comportato «un danno maggiore di quello che avrebbe potuto provocare l’esposizione ad un abuso sessuale». Un’eresia per Luigi Cancrini, psichiatra e psicoterapeuta, fondatore del Centro studi di terapia familiare e relazionale, che ha deciso di scrivere un “parere pro veritate” per gli imputati dell’inchiesta “Angeli e Demoni”. Per svolgere l’incarico la psicologa ha preso visione dei soli documenti «presenti nel fascicolo del pubblico ministero, compreso il materiale riguardante gli esiti delle attività intercettive e le registrazioni delle attività stesse», inclusa la consulenza di un altro dei periti incaricati dalla procura. Materiale, dunque, di una sola delle parti in causa. Solo con due dei minori coinvolti la psicologa ha avuto incontri diretti, ma tutti in momenti precedenti all’inchiesta della procura di Reggio Emilia, ovvero «nei procedimenti penali presso la procura della Repubblica di Reggio Emilia riguardanti i presunti abusi sessuali subiti dalle stesse».

Per il resto, l’analisi si basa su quanto appreso dalle persone a contatto con i bambini o che hanno con loro un significativo legame affettivo e dalle informazioni desunte dalle intercettazioni ambientali svolte nel corso delle indagini. La psicologa parte da un assunto: «L’allontanamento di un figlio dalla famiglia e dal contesto d’origine rappresenta una frattura non meno rischiosa per il suo processo di identificazione e di costruzione del senso di appartenenza e, quindi, per l’intero complesso della sua personalità, rispetto ai rischi patologici per lo sviluppo psicofisico ed affettivo- relazionale derivanti da violenze fisiche, sessuali, morali e gli stati di grave trascuratezza perpetrati da genitori nei confronti di figli minorenni». Una convinzione sposata nonostante «non vi sia ancora un numero significativo di ricerche sugli effetti dell’allontanamento familiare e del collocamento tutelare», richiamandosi ad «alcuni studi, soprattutto nordamericani», i quali «tendono a dimostrare come questo intervento possa favorire esiti dissociali, quali delinquenza, gravidanze precoci, marginalità socio- economica». Una vittimizzazione secondaria legata «proprio agli effetti degli allontanamenti forzati». Tale vittimizzazione, per la psicologa, potrebbe riscontrarsi con forte probabilità anche nei casi dell’inchiesta “Angeli e Demoni”.

Ed è questa la risposta alla domanda del pm, che ha chiesto di stabilire se, sulla base «della documentazione in atti in atti ed ogni ulteriore documentazione acquisita nel corso delle indagini», i minori «abbiano subito, a causa delle condotte poste in essere dagli indagati, disfunzioni psicologiche e relazionali ovvero una alterazione nel normale sviluppo della personalità in costruzione, idonea a determinare disfunzioni psichiche future, correlate alla mancanza delle figure genitoriali di riferimento, nonché alla ingenerata ed erronea convinzione di essere vittime di abusi sessuali o maltrattamenti da parte di questi ultimi e quant'altro utile ai fini di giustizia». Ciò per comprendere «se sia attuabile in capo ai minori una malattia nella mente grave ovvero probabilmente insanabile». Una domanda sbagliata, per Cancrini, secondo cui la questione giusta sarebbe stata un’altra: se quegli allontanamenti avevano o meno ragione di esistere, se quegli abusi ci sono stati o meno. E la risposta, per lui, è sì.