L’avviso pubblico emesso da una società a partecipazione pubblica per la costituzione di un elenco di avvocati per l’affidamento di incarichi di patrocinio legale e di domiciliazione deve rispettare le norme dell’ordinamento professionale forense che regolano il compenso spettante ai soggetti iscritti all’albo. Lo ha stabilito il Tar della Campania con sentenza n. 1114 del 18 febbraio 2022. In base all’articolo 13-bis, secondo comma, della legge 247/12, il compenso professionale si intende equo se è proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione.La disposizione è espressiva di un principio volto ad assicurare anche al lavoratore autonomo una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro.Simile principio discende dall’articolo 35 della Costituzione, che tutela il lavoro “in tutte le sue forme e applicazioni”, e dal successivo articolo 36, che nell’occuparsi del diritto alla retribuzione, non discrimina tra le varie forme di lavoro; deve pertanto ritenersi vigente pur dopo l’abrogazione, operata con il decreto Bersani del 2006, delle disposizioni che prevedevano la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime per le attività professionali e intellettuali. Il diritto dei lavoratori autonomi a una retribuzione adeguata è tutelato nei rapporti con i contraenti cosiddetti “forti”, tra i quali è annoverata anche la Pa, per cui la garanzia dell’equo compenso si configura come peculiare attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia.L’estensione dell’obbligo di tenere conto della disciplina dell’equo compenso obbedisce al fine di assicurare una speciale protezione alla parte debole del rapporto contrattuale, “in tutti i casi in cui la pubblica amministrazione, a causa della propria preponderante forza contrattuale, definisca unilateralmente la misura del compenso spettante al professionista e lo imponga a quest’ultimo senza alcun margine di contrattazione; e ciò sia in occasione di affidamenti diretti dell’incarico professionale, sia nella determinazione della base d’asta nel contesto di procedure finalizzate all’affidamento dell’incarico professionale secondo le regole dell’evidenza pubblica”. La tutela del contraente debole “non trova invece applicazione ove la clausola contrattuale relativa al compenso per la prestazione professionale sia oggetto di trattativa tra le parti o, nelle fattispecie di formazione della volontà dell’amministrazione secondo i principi dell’evidenza pubblica, ove l’amministrazione non imponga al professionista il compenso per la prestazione dei servizi legali da affidare”. Nel caso scrutinato le previsioni del bando sono state ritenute lesive della garanzia dell’equo compenso poiché relegavano la trattativa tra i contraenti in uno spazio esiguo, delimitato dalla “fissazione di un compenso che si attesta sistematicamente e necessariamente al di sotto della soglia minima fissata dal Dm n. 55/2014” e dalla unilaterale predeterminazione della misura del compenso per le domiciliazioni. La soglia dell’equo compenso rimane variabile, e può quindi essere derogata al ribasso, ma è preclusa alle amministrazioni aggiudicatrici l’introduzione di una regola che impedisca sistematicamente ex ante il riconoscimento di un corrispettivo professionale di importo pari o superiore a quello minimo. L’introduzione di una regola siffatta neppure sarebbe coerente con il principio di economicità: infatti, “se è vero che le prestazioni professionali degli avvocati devono essere espletate con professionalità anche indipendentemente dalla misura dell’onorario, non può tuttavia negarsi che l’interesse ad assumere incarichi per l’amministrazione da parte dei professionisti più qualificati dipenda largamente anche dall’adeguatezza del corrispettivo offerto e dal rispetto della dignità professionale della classe forense”. Finalità di contenimento della spesa possono invece giustificare la fissazione di tetti massimi ai compensi erogabili. Antonio Carastro, avvocato, Unaep Emilia-Romagna