Meno avvocati, ma principalmente per effetto della riduzione della componente femminile, e timore di dover uscire dall’avvocatura per un terzo degli intervistati, a cui si aggiunge una concentrazione di iscritti all’albo forense nelle regioni meno dinamiche dal punto di vista economico. Sono questi alcuni dei tanti elementi di riflessione che emergono dalle 122 pagine del Rapporto sull’Avvocatura 2023, predisposto dal Censis, in collaborazione con Cassa forense.

Un primo dato importante emerso dal Rapporto è sicuramente quello della riduzione, per il secondo anno consecutivo, del numero di avvocati iscritti all’ente di previdenza ( tabella A1 del rapporto), che risultano essere nel 2022 240.019, circa 5mila in meno rispetto al numero massimo di 245.030 registrato nel 2020. Certo, vi sono oggi sempre molti più avvocati rispetto al 1985 ( il primo anno considerato dal rapporto), quando erano solo 37.495, e d’altronde, che la professione forense sia stata considerata negli ultimi quattro decenni interessante, lo prova anche l’indice di concentrazione degli avvocati nella popolazione, che è passato da 0,7 avvocati su 1.000 abitanti del 1985 al 4,1 del 2022, valore che è costante dal 2018. Analizzando però l’evoluzione del numero di iscritti a Cassa forense suddivisi per genere si scopre che a diminuire sono state prevalentemente le donne, ridottesi tra il 2022 e il 2020 di 3.867 unità, più del triplo rispetto ai 1.144 uomini che sono usciti dall’avvocatura nell’ultimo biennio.

Questa circostanza trova riscontro anche nel saldo tra nuove iscrizioni e cancellazioni dall’albo forense, dove a fronte di un dato sempre positivo per gli uomini dal 2010 (primo anno presente nella tabella A4), nel 2021 e nel 2022, per la prima volta dal 2010, il numero di donne che si sono cancellate dall’albo era maggiore delle nuove iscritte, per 1.927 unità nel 2021, e per 1.333 nel 2022.

Sulle motivazioni di questa uscita dalla professione forense può dare qualche lume la tabella 6, che indica in primo luogo che ben un avvocato su tre ( ossia il 34% dei 22mila professionisti intervistati dal Censis) ha pensato di lasciare la professione. La ragione numero 1 è la mancanza di convenienza economica, che viene additata dal 62,3% degli intervistati che hanno espresso pessimismo sul proprio futuro professionale, circostanza spiegata in particolare per i costi eccessivi della gestione dello studio.

Al riguardo va notato che questa motivazione è sicuramente più frequente per le donne, visto che il reddito medio delle avvocate (26.686 euro) non arriva neppure alla metà (47%) di quello dei loro colleghi uomini (56.768 euro), come risulta per il 2021 dalla tabella B5.

Una seconda ragione che spinge a lasciare l’avvocatura è il calo della clientela, additata dal 11,8% dei professionisti sentiti dal Censis, seguita dalla volontà di andare in pensione, segnalata dal 10,5% del campione. Altre motivazioni sono la decisione di cambiare attività ( 9,6%), o di dedicarsi alla famiglia ( 2,1%), mentre il 3,7% ha invocato altri fattori.

Un altro dato interessante emerso dal rapporto 2023 è che nel 2022, come nel 2021, vi è un’inversione della tendenza storica che vede la componente femminile della professione legale crescere percentualmente, visto che era passata dal 9,2% del 1985 ( vedi la tabella A2) al 48% del biennio 2019- 2020; infatti nel 2021, per la prima volta dal 1985, la quota delle donne nel mondo della professione legale è diminuita, scendendo al 47,7%, per poi abbassarsi ulteriormente nel 2022 al 47,4%.

Rimane invece molto elevato, sebbene in diminuzione, il rapporto tra il numero di avvocati attivi rispetto a quello dei pensionati. Nel 2022, su 240.019 iscritti a Cassa forense, ve ne erano 225.513 attivi e 31.748 pensionati, circostanza che determinava un rapporto di 7,1 professionisti in attività per ciascun pensionato. Questo rapporto era più basso nel 2005 (primo anno indicato dalla tabella A3), quando era pari a 5,1, e aveva raggiunto l’apice negli anni 2015- 2016, con il valore di 8,1, per poi scendere gradualmente nelle annate successive. Va detto che si tratta di un rapporto molto alto, se si considera che in Italia, a fronte di 16 milioni di pensionati, vi sono solo 23,3 milioni di occupati, per cui il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati è appena del 1,46%. Insomma, per il proprio futuro previdenziale gli avvocati possono stare tranquilli, almeno per quanto riguarda la sostenibilità del sistema pensionistico.

Sempre restando nell’ambito dell’analisi quantitativa della numerosità degli avvocati, vale la pena osservare la tabella 4, dove è indicata la distribuzione territoriale degli iscritti all’albo forense, sia in termini assoluti, sia in rapporto alla popolazione della regione in cui operano.

Considerando quest’ultimo parametro, sorprende che la Regione con la maggiore concentrazione di avvocati sia la Calabria, con un rapporto di 6,8 ( ossia 6,8 avvocati ogni 1.000 abitanti), seguita dalla Campania ( 6,2), e dal Lazio ( 5,9). Per contro, le regioni più dinamiche dal punto di vista economico mostrano una minore presenza di professionisti forensi: Lombardia ( 3,6), Veneto ( 2,6), Piemonte ( 2,3), Emilia Romagna ( 3,1).

Dato che la tabella 37, che elenca i settori professionali che sembrano offrire le migliori prospettive professionali nei prossimi tre anni, indica al primo posto la crisi di impresa, la cui gestione è considerata un’attività promettente per il 40,4% dei circa 22.000 avvocati intervistati dal Censis, allora si deve ritenere che ci siano più spazi professionali proprio in quelle aree del nostro paese dove il tessuto produttivo è più ricco ( e più attrattivo, essendoci maggiori risorse economiche), e meno affollato di specialisti del diritto.

La reazione dell’Anf. Su alcuni degli aspetti chiave del Rapporto, si registra la reazione, tra le altre, del segretario generale dell’Associazione nazionale forense Giampaolo Di Marco: «Le forze politiche guardino questa fotografia di una categoria in cui addirittura un terzo degli avvocati under 40 ha considerato l’idea di lasciare la professione. E non solo: con un enorme gap reddituale a sfavore di donne, giovani e dei professionisti del sud del Paese. Si comprenda», dice Di Marco, come «per avere una giustizia che funzioni al meglio» occorrano «operatori messi in condizione di lavorare al meglio: si diano gli strumenti per favorire la riconversione delle competenze degli avvocati, si incentivino le aggregazioni e si consideri la giustizia un bene di prima istanza».