Dove eravamo rimasti? È questa la domanda che si sono posti i penalisti di Parma nell’immaginare e realizzare una pregevole iniziativa: l’intitolazione di un parco della città emiliana ad Enzo Tortora. L’evento pubblico si terrà questa mattina. Il giornalista e conduttore televisivo, arrestato il 17 giugno 1983, sarà dunque ricordato per sempre.

Dopo la cerimonia nel “Parco Enzo Tortora”, ci sarà spazio per una serie di riflessioni in un incontro-dibattito, con inizio alle ore 16 (diretta streaming su radioradicale.it), nell’Aula Filosofi della facoltà di giurisprudenza dell’Università di Parma. L’iniziativa è organizzata dalla Camera penale parmense in collaborazione con il Comune di Parma. Sarà l’occasione, a quarant’anni di distanza dal «più grande esempio di macelleria giudiziaria all’ingrosso del nostro Paese», per discutere sul tema sempre attuale dell’errore giudiziario.

I lavori saranno introdotti da Michele Guerra, sindaco di Parma, Francesco Mattioli (presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Parma), Luigi Angiello (presidente della Fondazione dell’avvocatura parmense) e Michele Cammarata (presidente della Camera penale di Parma). Interverranno, inoltre, Francesca Scopelliti (presidente della “Fondazione internazionale per la giustizia Enzo Tortora”), Fabio Cassibba (ordinario di procedura penale nell’Università di Parma), Davide Varì (direttore del Dubbio) e Alessandra Palma (delegato di giunta dell’Unione delle Camere penali italiane per l’Osservatorio “Errore giudiziario”). Il dibattito sarà moderato da Paolo Moretti (avvocato e componente della locale Camera penale).

«L'intitolazione del parco cittadino a Enzo Tortora – dice l’avvocato Michele Cammarata - non è un merito esclusivo di questo direttivo, ma è frutto di un lavoro iniziato diversi anni fa. A seguito di una mozione votata al nostro congresso ordinario di Venezia del settembre 2014, con una motivazione che non si può non condividere e che porta firme autorevolissime nella storia dell'Ucpi, pensiamo ad Ettore Randazzo, Oreste Dominioni e Gaetano Pecorella, si invitavano le Camere penali territoriali ad attivarsi per fare in modo che ogni città avesse intitolata una via ad Enzo Tortora».

La Camera penale di Parma nel ricordare il giornalista e conduttore di Portobello intende mettere in guardia dai pericoli della gogna mediatica. Un tema che non ha lasciato indifferente parte della politica. «Il nostro past president – aggiunge Cammarata -, nonché attuale responsabile della Scuola territoriale, Paolo Moretti, e il suo direttivo depositarono la richiesta di intitolazione nel lontano 2015. Io ho semplicemente raccolto il testimone dopo diversi anni e una volta eletto uno dei miei primi atti fu quello di riproporre la richiesta che ha trovato, forse per una maggiore sensibilità sul tema, risposta positiva dalla Giunta comunale in carica a cui va il mio ringraziamento. Siamo molto orgogliosi del risultato, considerato che tale intitolazione è comu0nque frutto di formale richiesta della Camera penale di Parma e che risulta essere, nell'era del populismo giudiziario imperante, pregna di significato non solo simbolico».

Il presidente della Camera penale di Parma si sofferma pure sugli errori giudiziari, compresi quelli che hanno stritolato Tortora. «Mi vengono in mente – commenta Cammarata - le parole di Sciascia, persona fondamentale nella vita di Enzo Tortora, ne “Il contesto. Una parodia”, romanzo pubblicato nel 1971 e, in particolare, il confronto tra il giudice Riches e l’ispettore Rogas. Il giudice spiega al funzionario di polizia il rito giudiziario come un rito religioso. Il processo è come la fede, come una religione. L’errore giudiziario non esiste, questa la tesi di Riches: la giustizia come potere e religione, che, in quanto tale, non può tenere conto di un’opinione esterna e laica, poiché quando una religione tiene conto di un’opinione esterna e laica “è una religione morta”».

Partendo dalle vicissitudini affrontate da Enzo Tortora, le riflessioni dell’avvocato Cammarata si fanno ancora più profonde. «Noi – conclude il presidente della Camera penale di Parma - crediamo nella coscienza laica di chi deve giudicare: il giudice non come una sorta di sacerdote di un rito, ma come il garante del puntuale rispetto delle regole del processo penale, che, non dimentichiamolo mai, è soprattutto un modello cognitivo e un presidio di garanzie principalmente per l'imputato. Come è noto uno dei nostri marchi distintivi è rappresentato dalla separazione delle carriere. Da qui la domanda: in un sistema a carriere separate si sarebbe potuto verificare quello che fu definito uno dei più grandi casi di ingiustizia italiana? Naturalmente non abbiamo la sfera di cristallo, ma credo che sarebbe stato molto più difficile. Un sistema giudiziario, così come lo immaginiamo noi, in cui, ferma la assoluta indipendenza della magistratura tutta, compreso il pm, dagli altri poteri dello Stato, si garantisca e si rafforzi l'indipendenza del giudice dal pubblico ministero, credo che un caso Tortora difficilmente si sarebbe verificato».