L'amministrazione della giustizia è in affanno, non solo per le iniziative politiche in corso con la suddivisione delle carriere, la gestione delle gerarchie e la prospettata insufficienza dei riti processuali, ma per un fenomeno più subdolo che è entrato di prepotenza nelle aule dei tribunali e negli studi professionali. Si chiama Intelligenza Artificiale, che colleziona conquiste quotidiane e cambiamenti senza ritorno per utenti e cittadini, ma impone anche a questi – per contrappasso – ragionamenti complessi e misure di contenimento (il contrario delle qualità e libertà ostentate dalla stessa AI) per stabilire una base ragionevole di convivenza.

L'intelligenza artificiale non si limita, infatti, in pochi secondi, a sfornare inappuntabili tesi di laurea ( se volete rimanere ignoranti), o analitiche sessioni terapeutiche ( se ritenete di aver bisogno di un consulto), ma invade anche il campo della giustizia proponendo approfondite e ammirevoli memorie difensive e altrettanto persuasive e motivate decisioni giudiziarie, ma senza basi effettive e con conseguenti effetti deplorevoli.

È stata annullata infatti dalla Cassazione una sentenza della Corte d'appello di Torino che aveva richiamato principi di legittimità non esistenti, frutto probabile della AI, e ugualmente sono intervenuti i Tribunali di Firenze e Torino e il Tar Lombardia, sanzionando variamente i difensori per l'accertato uso della AI nelle memorie difensive che riportavano sentenze inesistenti e inventate, o del tutto estranee al tema, nonché presunti opinioni dottrinali in realtà indefiniti e indecifrabili, con la conseguenza di screditare – anziché sorreggere – le argomentazioni e le conclusioni proposte. Insomma, fantasie e “allucinazioni”, così sono chiamate, e artifici che sono propri di vari reati, come la truffa, il falso e la frode processuale (tutti presupponendo artificiosi mezzi), e costituiscono comunque un abuso del diritto e del processo, un vero e proprio favoreggiamento civile. Una intelligenza truffaldina. E il colpevole non è l'AI, che svolge il suo compito con i metodi artificiali che promette e sono nel suo stesso nome, ma l'avvocato che ne fa uso indiscriminato e incontrollato, mentendo e nuocendo a se stesso e alla collettività.

Se si pensa che in alcuni ordinamenti stranieri è fatto obbligo al difensore di citare perfino la giurisprudenza contraria ( e in mancanza è evocato il reato di disprezzo della Corte, Contempt of Court), non si riesce a comprendere come possa cadere così in basso il livello etico della nostra cultura giuridica, con un abuso del processo tanto eclatante.

E la gravità, poi, non nasce dal fatto che l’inesistenza delle sentenze citate obbliga giudici e controparti a un gravoso impegno anche temporale per confutarle, come pure è stato lamentato, ma dalla constatazione che viene celebrato un processo artificiale, senza lealtà e senza contraddittorio, e senza parità delle armi, e in definitiva senza necessità di difensore, se le argomentazioni, citazioni e tesi non gli appartengono.

Occorrono rimedi, e questi sono stati trovati sul piano processuale valutando l’ipotesi di una responsabilità aggravata dell’avvocato per aver agito con mala fede o colpa grave, e sul piano disciplinare per violazione dei doveri di lealtà e probità e la prospettiva di sanzioni anche sospensive severe.

Contestualmente, si sono intensificate le normative. Dapprima, a livello europeo, con il Regolamento approvato dal Parlamento Europeo n. 1689/ 2024 ( AI Act), che tende a disciplinare l’uso dei nuovi strumenti, la valutazione dei rischi e la formazione delle relative responsabilità in centinaia di pagine, con principi, “considerando” e allegati; poi, con la legge n. 132 del 23 settembre 2025, con la quale il nostro Parlamento ha emanato una serie di disposizioni che richiamano in parte il Regolamento europeo e rinviano ad altri decreti legislativi da emanare per una più minuziosa disciplina. Più incisivi sono gli interventi degli organi istituzionali forensi che propongono modelli di comportamento e regole di condotta, imponendo all’avvocato di informare il cliente sull’uso della AI e soprattutto di procedere alla verifica e al controllo più accurati degli atti predisposti. Obblighi di trasparenza, diligenza e competenza del difensore, dunque, per assicurare l’esattezza e adeguatezza, oltre che la paternità e la correlativa responsabilità dei dati, a cui si aggiunge il forte richiamo contenuto nella Carta dei principi dell’Ordine di Milano sulla “centralità della decisione umana”, per garantire la conformità ai principi dei risultati generati dalla AI.

Sanzioni e regole, dunque. Ma l'impressione è che tutto questo non basti perché le deficienze formali saranno superate e l'AI affinerà sempre di più le proprie capacità e finirà per fornire memorie difensive inappuntabili, con citazioni corrette e pertinenti, e argomentazioni logiche, persuasive e rispettose delle regole. Atti formali ineccepibili, che in larga misura superano le capacità e tempistiche della maggioranza degli utenti e obbligano le controparti ad adottare sistemi identici per rendere il confronto sostenibile; e con la previsione di un inutile pareggio, come avviene nel gioco degli scacchi quando si confrontano due sistemi computerizzati. Se poi il rimedio è demandato alla magistratura, ea un potenziale terzo sistema giudicante, l'unico risultato prevedibile è la disumanità del diritto oltre che l'umile e inconsistente neutralità dei difensori. In questo scenario, abbastanza prossimo, l'unica soluzione possibile è il recupero della funzione regolatrice degli avvocati, non già per predisporre dotte memorie meccaniche e artificiali, ma per ritrovare il “latente amore per il giusto”, nella funzione di mediazione e negoziazione che ormai da sempre raccomandiamo. In altre parole, la soluzione equilibrata ed equa del conflitto, non la sua esasperazione, nel rispetto delle ragioni degli altri e interpretandone correttamente gli interessi con buona fede, misura, proporzionalità e ragionevolezza.

Paradossalmente, abbiamo insistito fino ad oggi per dare un carattere di giuridicità all'etica, onde imporne l'applicazione nel processo e nella vita, e ora possiamo operare al contrario e ricondurre la logica e la ragione del diritto all'umanità e all'equità che sono pur sempre presenti nelle azioni umane. Per essere partecipi della giustizia e non solo spettatori.