Si può, nello stesso tempo, essere all’avanguardia e invocare la massima cautela? Sì, è possibile. Ed è la linea scelta dall’Ordine degli avvocati di Milano, che ieri ha celebrato il day # 2 di “Talk to the future”, l’evento centrato proprio sul rapporto fra tecnologia, giustizia e società giunto alla terza edizione. Dopo l’applaudito esordio che ha visto nella Biblioteca Ambrosoli di Palazzo di Giustizia il guardasigilli Carlo Nordio, il presidente del Cnf Francesco Greco e altre prime linee dell’avvocatura, ieri mattina il numero uno del Coa milanese Antonino La Lumia ha guidato l’incontro su “Intelligenza artificiale e avvocatura”. Si parte dal progetto Horos, vale a dire la Carta sull’uso dell’Ia in ambito legale elaborata a fine 2024 dall’Ordine forense del capoluogo lombardo.

In una sala affollata, La Lumia chiarisce senso e obiettivi del decalogo affiancato dal collega che coordina il “Tavolo Ai e Giustizia” del Coa, Giuseppe Vaciago, dalla consigliera dell’Ordine Valentina Masi, da un partner decisivo come il direttore Area legale di Lefebvre Giuffrè Francesco Cantisani e da Giovanni Rocchi, che non è solo il presidente dell’Unione lombarda degli Ordini forensi (Ulof) ma anche un cultore della materia, un pioniere della tecnologia applicata al diritto. Ebbene, La Lumia esordisce con la rivendicazione di un primato, per l’avvocatura milanese: «Nel nostro Tavolo abbiamo avuto padre Benanti in tempi, per così dire, non sospetti: è così che siamo arrivati a definire il progetto Horos, in cui abbiamo individuato una molteplicità di profili deontologici, a cominciare dal dovere di trasparenza. Ai tanti neoiscritti, e il nostro», ricorda il presidente del Coa, «è un Foro in controtendenza, quanto a saldo fra ingressi e uscite, insistiamo nel ricordare come certamente la difesa giudiziale vada sempre preservata, ma che molte altre opportunità possono essere individuate all’esterno dei Palazzi di Giustizia, con la consulenza, anche sulle questioni legate all’intelligenza artificiale».

Eppure, poco più avanti, il presidente del Coa non manca di mettere in guardia la platea da due «notevoli rischi che l’uso dell’Ia può presentare per noi avvocati: la deresponsabilizzazione e la pigrizia intellettuale. C’è un solo modo per evitare le due derive, ed è la centralità dell’essere umano».

Ecco, dice La Lumia, «è proprio per preservare quella centralità, che abbiamo voluto mettere a punto la nostra Carta». Ci sono dunque grandi opportunità, ma gravate da insidie rispetto alle quali è indispensabile una presa di coscienza. Vaciago è tra i più severi nel descrivere la “trappola” in cui la tecnologia può inghiottire i professionisti: «Sembra un aspetto marginalissimo, ma pensate a quante volte rinunciamo a scaricare un documento, salvarlo e collocarlo nella cartella del nostro archivio in cui andrebbe conservato: spesso rinunciamo a questo tipo di operazioni, che ci sono sembrate, fino a un passato non remoto, naturali. E ci rinunciamo perché sappiamo che quell’allegato è comunque fra le nostre mail e che, se lo cercassimo, riusciremmo a trovarlo. Ma cosi deleghiamo la macchina a svolgere attività che invece competono a noi».

È una metafora. Ma serve a definire proprio i concetti di «impigrimento» e «deresponsabilizzazione» evocati da La Lumia: pensare che la tecnologia, l’Ia, debba provvedere al posto nostro è un campanello d’allarme anche quando riguarda aspetti in apparenza non così rilevanti, perché quel pensiero poi s’insinua al punto da impedire il «governo del sistema», come lo definisce il presidente dell’Ordine di Milano. Ma come si fronteggia la deriva? Secondo Cantisani, le stesse case editrici possono «rimediare con l’ascolto dei bisogni effettivi dei professionisti, con il coinvolgimento degli avvocati prima di mettere a punto i nuovi prodotti. Serve un approccio antropocentrico», dice il manager di Lefebvre Giuffrè, «si può avere la tecnologia migliore, ma la differenza deve farla sempre l’essere umano».

Avvocati responsabili, dunque: il principio di base della Carta Horos è d’altronde questo. Lo ricorda Masi, che insiste in particolare non solo sul «dovere di competenza, e dunque di aggiornamento, nel campo dell’Ia», ma anche sulla «necessaria trasparenza nei confronti del cliente». Sia rispetto al «rilievo che l’intelligenza artificiale assumerà nell’attività difensiva» sia, naturalmente, ed è una delle questioni più delicate, «rispetto alla custodia e al trattamento dei dati dell’assistito». Si squaderna la gigantesca questione delle informazioni personali trasferite alle macchine per “allenarle”: non è fantascienza ma, appunto, materia da governare.

Rocchi non si lascia spaventare dall’idea: «L’Ordine degli avvocati di Milano è secondo in Italia per numero di iscritti e vanta diversi primati: ma insieme con il capoluogo, gli altri Ordini lombardi sono stati sempre compartecipi di questa vocazione pioneristica. Non dimentichiamo che se le notifiche via pec sono entrate nel sistema giustizia è perché un giorno una delegazione di avvocati lombardi andò in missione dall’allora capo della Dgsia, al ministero della Giustizia, e lo convinse a introdurre quello strumento. Serve eccome il contributo degli avvocati», dice il presidente dell’Ulof, «di tutti gli avvocati, come previsto dalla mozione che abbiamo presentato al congresso di Lecce: serve un tavolo permanente di avvocati, magistrati e filosofi che individui i paradigmi da inserire nei nuovi sistemi di Ia».

Il solo modo per «non lasciarsi impigrire» e «non deresponsabilizzarsi», come chiede La Lumia, è dunque essere protagonisti. E gli avvocati di Milano non si sottraggono alla sfida.