L’accusato ha la facoltà di rinunciare alla prescrizione dell’azione disciplinare, ma tale rinuncia deve avvenire prima che la prescrizione stessa venga accertata e dichiarata. Questo accertamento avviene nell’ambito della decisione del Consiglio Distrettuale di Disciplina oppure, per la prima volta, nella sentenza del Consiglio Nazionale Forense.

La prescrizione non può essere invocata per la prima volta, come argomento “ritardatario”, nel corso del processo di appello al Cnf, dopo che la prescrizione mai eccepita prima, è stata dichiarata dal CDD. Al contrario, nel caso in cui l’incolpato scelga di rinunciare tempestivamente alla prescrizione, il giudice disciplinare può emettere una sentenza di assoluzione completa o di condanna, a seconda delle circostanze. Così il Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 100/2023.

Il caso

La vicenda ha origine dal ricorso di un avvocato contro la decisione del CDD di Messina, che lo ha sospeso dalla professione per un mese a seguito di comportamenti scorretti. L’accusato si è trovato di fronte a due principali capi d’accusa: in primo luogo, la mancata registrazione trascrizione di una sentenza in un caso di usucapione, in violazione degli articoli 9 e 13 del Codice Deontologico Forense; in secondo luogo, la violazione dell’articolo 68 del CDF per aver accettato un incarico in conflitto con un ex cliente. La decisione del Consiglio ha esaminato in modo dettagliato i vari motivi di ricorso presentati dall’avvocato.

Prescrizione non rinunciabile

Il ricorrente ha contestato il non luogo a provvedere per prescrizione dichiarato dal CDD e ha richiesto in sede di impugnazione un’assoluzione completa. La questione è nuova e mai affrontata in precedenza dal Cnf né espressamente regolata dalla legge. L’ordinamento professionale, a differenza del codice di procedura penale, non prevede la rinuncia alla prescrizione. Tuttavia, in assenza di norme previsioni espresse, è possibile fare riferimento al principio generale che consente l’applicazione delle regole del processo penale quando appropriate, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo c. 4, legge 247/2012. Questa interpretazione trova, tra l’altro, supporto nella giurisprudenza costituzionale nonché nelle «innegabili analogie con il procedimento disciplinare dei magistrati ordinari, che prevede la possibilità di rinuncia disponendo che il procedimento disciplinare si estingua solo se l’incolpato vi consenta». Nel caso in esame, la prescrizione è stata dichiarata dal CDD di Messina. Poiché non risulta che l’avvocato abbia rinunciato a tale prescrizione davanti all’organismo disciplinare locale, non può avanzare istanza in tal senso come motivo di appello.

Nuovo incarico in conflitto

Il ricorrente sostiene di non aver utilizzato informazioni riservate nel nuovo caso. Il Cnf sottolinea che la questione riguardi non soltanto l’utilizzo delle informazioni, ma anche se il nuovo incarico sia sostanzialmente diverso dal precedente. Accertata l’esistenza di legami tra i due diversi incarichi, il motivo di ricorso è respinto.

Riguardo alla sanzione della sospensione di un mese del CDD di Messina, è stata giudicata invalida per errore di diritto, poiché è risultata inferiore al minimo edittale previsto per legge per le violazioni contestate.

La nullità può essere rilevata d’ufficio dal Cnf non essendo possibile legittimare una sanzione inesistente nell’ordinamento professionale. Tuttavia, per il divieto della reformatio in pejus, deve essere inflitta la pena inferiore prevista dall’ordinamento, e cioè, nel caso di specie, la censura.