Riportiamo di seguito ampi stralci della relazione pronunciata dalla presidente Maria Masi alla cerimonia inaugurale dell’anno giudiziario del Consiglio nazionale forense, svoltasi al Maxxi di Roma, alla presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella.

Signor Presidente della Repubblica,

desidero ringraziarLa anche a nome dell’intero Consiglio Nazionale Forense e delle avvocate e avvocati italiani, per l’attenzione costante che nel corso di questi anni ha manifestato nei nostri confronti. La Sua presenza oggi, oltre che essere per noi un grande onore, conforta il nostro impegno e soprattutto sostiene e rafforza il senso della nostra funzione.

(...) L’anno trascorso, appena compiuto, per la nostra Giustizia, come è noto, è stato caratterizzato da tanti ostacoli che hanno minato e incrinato il già precario rapporto di fiducia con i cittadini, reso complesso il rapporto tra gli operatori di Giustizia, quale funzione pubblica, soprattutto in relazione ai poteri dello Stato, ovvero legislativo, esecutivo e giudiziario.

(...) Eppure, con non poche difficoltà, abbiamo tentato di non smarrire l’attenzione e la cura che si deve al diritto. Il diritto a chiedere giustizia, ancor prima del diritto ad ottenerla non può, infatti, considerarsi avulso dal principio di uguaglianza sostanziale tra i cittadini, ai quali vanno assicurate pari ed eque opportunità di accesso alla giurisdizione e di tutela piena e indiscriminata. L’avvocatura non ha perso occasione di segnalare il pericolo, talvolta evidente, altre volte subdolo, di “scollamento” tra esigenze di tutela e le proposte modificative individuate (...). A poche settimane dall’entrata in vigore di gran parte delle norme che regolano (?) il nuovo processo civile, oltre ad essere evidenti i denunciati difetti di coordinamento tra le fonti, è emersa in maniera chiara l’attuale inadeguatezza di strutture e di risorse. La stessa inadeguatezza che ancora impedisce l’attuazione delle norme che invece regolano il nuovo processo penale. Nel processo civile l’esercizio dell’attività di difesa rischia di essere e di diventare ancora più marginale, esposta irragionevolmente ad essere giudicata temeraria. Riti disseminati di decadenze, oneri, spettri di inammissibilità rendono l’ambito di operatività inquinato da troppe variabili. Nel penale il rischio è ancora più grande, soprattutto in tema di impugnazioni, quando legittimamente il difensore esigerà di esercitare in pieno e fino in fondo il suo mandato. Oltre e al di là dei contenuti è proprio l’approccio concettuale, il tema sotteso alle riforme che non può essere condiviso, come abbiamo rappresentato e denunciato in tutte le occasioni utili e anche in quelle (non poche) inutili. Tante le audizioni a cui il Consiglio Nazionale Forense ha partecipato: in tema di parametri su nostra proposta come da legge, e poi con quei contenuti approvata, in tema di equo compenso, fino all’emendamento della scorsa settimana, avente ad oggetto la richiesta di estensione dell’applicazione della legge a tutte le imprese, indipendentemente dalle loro dimensioni, e soprattutto alle convenzioni in corso, sottoscritte prima dell’entrata in vigore della legge (...).

Oltre 40 gli emendamenti realizzati e proposti, alcuni, non pochi, recepiti. (...) Sarebbe stato quindi non solo più efficace ma anche simbolicamente importante se i protagonisti della giurisdizione, Magistratura e Avvocatura, insieme e, perché no, con funzioni e ragioni diverse, la componente amministrativa, avessero comunicato in maniera forte e chiara il proprio dissenso nei confronti di interventi scarsamente rimediari e certamente non risolutori, ma soprattutto manifestato la forte preoccupazione (che in un sistema democratico non può che essere condivisa) di vedere i cittadini ai margini della Costituzione piuttosto che al centro come si può come si deve.

(...) Abbiamo sprecato tempo prezioso nel rimettere in discussione quello che dovrebbe essere immanente al tessuto costituzionale e alla natura delle nostre diverse ma complementari funzioni. L’avvocatura che esprime un parere in seno ai Consigli giudiziari ha allarmato più del rischio di fallimento delle riforme e di non conseguimento degli obiettivi a cui siamo vincolati e attinti.

Certo se avesse voluto, l’avvocatura avrebbe potuto manifestare, in maniera forse più eclatante e certamente più efficace, il proprio dissenso nei confronti di una riforma “peggiorativa” (...). Ma ancora una volta è occorso e ha soccorso il grande senso di responsabilità nei confronti del sistema, dell’ordinamento, dei cittadini e quindi della Costituzione.

(...) Bisogna allora che avvocatura e magistratura insieme chiedano con voce ferma interventi emendativi e non solo con finalità di mero seppur utile monitoraggio. Non è solo l’esercizio del diritto di difesa che rischia di essere sacrificato. L’imperativo poco categorico, nell’accezione filosofica, delle esigenze di statistica mina sicuramente i diritti dei cittadini, ridimensiona e sacrifica la funzione dell’avvocato ma rischia anche di trasformare il magistrato in burocrate. E non è certamente questo che renderà la nostra giustizia efficiente, efficace, tempestiva e giusta.

Forse adottare come sistema la preventiva consultazione degli interpreti della funzione giurisdizionale rappresenterebbe un apprezzabile oltre che virtuoso cambio di passo e di immagine. E per questo genere di coinvolgimento e con queste intenzioni l’avvocatura è pronta, deve essere pronta (...).

L’avvocatura, però, con altrettanta cura e con rinnovata consapevolezza e mai sopito entusiasmo, deve convincersi e convincere di avere un ruolo fondamentale nell’avanzamento dei diritti e nella promozione dei nuovi diritti. “L’avvocato vigila sulla conformità delle leggi”, così recita il nostro Codice deontologico (...)..

Eppure, tanti troppi di questi diritti rischiano di essere oscurati e messi in pericolo, soprattutto se riferiti o riferibili a un genere. Esattamente come sempre più spesso e non solo nei regimi totalitari, ad essere in pericolo non è solo la funzione di difesa ma l’avvocato in quanto tale, per il solo fatto di aver svolto, con correttezza e rigore il proprio ruolo. Ne è fulgido esempio, tra altri altrettanto ben noti, l’Avvocato siciliano Enzo Fragalà ucciso sotto il suo studio oltre dieci anni fa. Solo pochi giorni fa la Corte di Cassazione ha confermato, in via definitiva, la condanna dei suoi assassini (...). La conferma definitiva è stata, pertanto, accolta anche come un giusto e legittimo riconoscimento al valore dell’uomo e del professionista e un altrettanto giusto e legittimo riconoscimento al valore del ruolo e della funzione sociale oltre che di difesa dell’avvocatura.

Avvocatura, sempre più spesso, vittima di minacce perché identificata con le parti assistite. Nella narrazione quotidiana, per la distorta, purtroppo non rara, opinione pubblica, l’avvocato è complice del criminale o peggio difensore non dell’uomo, non della persona, bensì del crimine. In altri paesi, non lontani dal nostro, gli avvocati, in quanto difensori di diritti non riconosciuti sono perseguitati, torturati, uccisi, esattamente come chiunque si ribelli al sistema soprattutto se giovani, se donne, e se dimostrano di non voler cavalcare cavalli di legno come testimonia la rivoluzione delle giovani donne iraniane (...).

A Questa Avvocatura interprete dell’Essere, nella puntuale e piena declinazione della nostra Costituzione, sento il dovere di dedicare questo inizio dell’anno giudiziario, di fine mandato di questa consiliatura, perché a questi esempi dobbiamo e dovremmo avere l’umiltà di guardare, soprattutto le giovani generazioni, affinché nella ricerca della verità non vinca mai il silenzio, mai l’inerzia.

Concludo, auspicando ancora una volta il massimo impegno da parte di noi tutti, vocati al corretto funzionamento della giustizia, per rendere possibile, con una sana e robusta rivoluzione intellettuale, la realizzazione di quella che rischia di diventare un’altra “utopistica visione di comunità”, quella della giurisdizione, e garantendo, signor Presidente, l’impegno dell’avvocatura a concorrere “al consolidamento di un’Italia fondata su pace, libertà e diritti umani”.