C’è un obiettivo, una stella polare che guida l’avvocatura da anni: affermare la propria centralità nella democrazia. Allontanare l’equivoco che riduce il ruolo sociale a corporazione. Ricordare ai cittadini che gli avvocati sono essenziali per il sistema civile, insostituibili nel garantire il riconoscimento dei diritti, non solo nelle aule dei tribunali. «Ma sappiamo anche una cosa», ricorda, con un certo opportuno pragmatismo, il presidente del Cnf Francesco Greco nell’agorà degli Ordini e delle Unioni forensi, convocata questa mattina a Roma: «Noi avevamo l’obiettivo dell’avvocato in Costituzione. L’attuale maggioranza politica ha però deciso di investire tutto nel progetto costituzionale del premierato. Inevitabilmente scivoleranno avanti nel tempo sia la separazione delle carriere che il riconoscimento dell’avvocato. E allora, a definire il ruolo degli avvocati nella giurisdizione e nella società del futuro provvederemo noi, con la scrittura di una nuova legge professionale. E attenzione, non si tratta di un restyling della 247: dobbiamo pensare a una nuova carta costituzionale dell’avvocatura».

Il che, per completare il discorso della centralità nella democrazia di cui all’inizio, richiede due punti fermi, osserva Greco: «Dobbiamo immaginare innanzitutto una legge in grado di guardare al ruolo dell’avvocato nel futuro, cioè da qui al 2030 e anche ai prossimi 25 anni. Non solo: dobbiamo chiederci quali saranno le attese future della società rispetto agli avvocati. Dobbiamo sforzarci di essere in sintonia con queste aspettative».

Tutto torna con l’idea del riconoscimento, dell’affermazione del ruolo nella democrazia: non solo «regole relative al disciplinare, allo snellimento di una procedura oggi farraginosa che grava sui Consigli distrettuali di disciplina», non solo «nuove norme sui procedimenti elettorali degli Ordini». Certo, anche un «cambiamento profondo nell’accesso alla professione, nella formazione, con specializzazioni ripensate in modo da incrociare davvero la domanda di quella cosa un po’ blasfema che si chiama mercato». Ma non solo questo: si dovrà, per il presidente del Cnf, «conservare uno sguardo complessivo, che tenga sempre presenti esigenze della società e nuovi approdi della professione». In una chiave che, appunto, «non potrà ridursi all’aggiornamento della legge 247».

Ora, il presidente del Cnf offre un orizzonte ambizioso, ma senza la pretesa di imporlo. E come detto, l’incontro a Roma presso la Pontificia università della Santa croce, ha coinvolto i Consigli dell’Ordine e le Unioni forensi, con una particolare sollecitazione rivolta agli Ordini circondariali. Come Greco ricorda nel suo intervento introduttivo, della nuova Carta dell’avvocatura è stato investito un tavolo in cui, al fianco di Cnf, Ocf e Cassa forense, compaiono, oltre alle associazioni maggiormente rappresentative, i presidenti dei Coa distrettuali e delle Unioni regionali. Ma proprio perché non tutti gli Ordini sono presenti nel “laboratorio” previsto dalla mozione congressuale di Roma, e che si è riunito per la prima volta nel pomeriggio al Cnf, ci sarà in parallelo «il ricorso a ulteriori riunioni dell’agorà in cui sarà possibile ascoltare», appunto, «anche i Coa circondariali, in e assicurare così un coinvolgimento diffuso, il più esteso possibile, degli avvocati alla nostra riforma».

Era importante chiarire la cornice, il metodo. Dopodiché, l’agorà ha accennato, nell’intervento di Greco, ma anche in quello del coordinatore di Ocf Mario Scialla e dei presidenti di alcuni dei 140 Coa italiani, ad alcuni altri elementi. Primo fra tutti, l’iter che la “proposta costituente” dell’avvocatura dovrà seguire per essere approvata dal Parlamento.

E tra le suggestioni più originali della mattinata nella Capitale, c’è a riguardo l’idea lanciata dal presidente del Coa di Firenze Sergio Paparo, predecessore di Scialla al vertice dell’Organismo congressuale: «Ricordiamoci dell’esperienza straordinaria delle Camere penali e della legge d’iniziativa popolare sulla separazione delle carriere: ha consentito proprio quel rapporto di scambio e di confronto fra avvocatura e società civile che il presidente Greco auspica per la nostra nuova legge professionale».

Ma sarà proprio il vertice del Cnf, pochi minuti dopo, a spiegare: «Sergio, ci siamo già mossi in un’altra direzione, ma per un motivo ben preciso: noi adesso abbiamo la disponibilità del governo, e non solo del guardasigilli Carlo Nordio, ad adottare come ddl di matrice appunto governativa la nostra nuova Carta degli avvocati. Ne ho parlato a Palazzo Chigi, non solo a via Arenula, appunto. I tempi di una legge popolare, e della raccolta firme, rischiano di combinarsi male con la mutevolezza degli scenari politici: rischiamo di proporre un testo senza avere più l’impegno del governo a farlo proprio».

E qui la perplessità si estende, per esempio, anche al presidente dell’Unione degli Ordini del Lazio David Bacecci, che ricorda: «L’esperienza con l’Ucpi è stata straordinaria, ma va detto che la legge sulla separazione delle carriere non l’abbiamo ancora portata a casa». C’è un altra questione, pure segnalata da Paparo, che mette invece d’accordo tutti e su cui convergono, tra gli altri, anche Paolo Nesta, Titti Troianiello e Antonio La Lumia, presidenti di Roma, Napoli e Milano: portare avanti, in parallelo con la riforma della professione, alcune battaglie mirate, a cominciare dall’esclusione fisica degli avvocati dalle udienze, non a caso il tema centrale del discorso di Greco alla cerimonia in Cassazione.

Ma intanto, è il promemoria che Scialla affida all’agorà, «ricordiamoci di coinvolgere nel percorso costituente anche quei colleghi che magari ora sono in udienza e neppure sanno della nuova legge da scrivere». Ascolto, coinvolgimento. Anche dei Cdd e dei Cpo. Ma tutto in tempi rapidi. Prima che la politica, come dice Greco, cambi idea e ostacoli la strada degli avvocati verso il futuro.