Forse è solo una imprecisione nelle bozze. Eppure il paradosso relativo ai professionisti, nel decreto Sostegno, pare esserci davvero: una parte non marginale dei 32 miliardi stanziati dal governo di Mario Draghi andrà sì a “ristorare” le categorie ordinistiche, finalmente non discriminate dal resto degli autonomi, ma con percentuali e aliquote che, dalle bozze circolate finora, sembrano tarate più sulle imprese che sulla realtà di avvocati e architetti. Lo lascia intendere con efficacia, ad esempio, l’Aiga, che riassume così i dati lasciati trapelare finora dal Mef: «Dalle notizie di stampa sembrerebbe che, relativamente alle somme da finanziare a fondo perduto, siano state ipotizzate tre aliquote, pari al 10, 15 e 20%, e che la base di calcolo sulla quale applicare le suddette aliquote sarà», ricorda l’Associazione giovani avvocati, «la perdita di fatturato: il 20% per ricavi dichiarati fino a 400mila euro, il 15% per i ricavi dichiarati tra i 400mila e 1 milione, il 10% per ricavi fra 1 e 5 milioni», e in realtà pare che il tetto massimo sarà portato a 10 milioni. Ma appunto l’Aiga fa rilevare come «la gran parte dei liberi professionisti dichiari redditi inferiori a 100mila euro: sono pochissimi coloro che, svolgendo una libera professione, dichiarano redditi superiori». Verissimo, ed è a partire da un quadro simile che i giovani avvocati chiedono di portare «al 30 per cento» l’aliquota principale, quella applicabile a chi vanta fatturati inferiori a quota 400mila. Sarebbe oltretutto una rimodulazione utile a bilanciare i contributi a fondo perduto fra la maggioranza dei potenziali beneficiari e la ristrettissima quota dei professionisti che vantano invece ricavi molto elevati, e per i quali il grado di urgenza è diverso. Anche se non si possono ignorare le difficoltà di chi, pur con redditi superiori, ha dovuto tenere in piedi, durante l’emergenza covid, studi con numerosi dipendenti. Certo al momento l’entità effettiva dei ristori è, innanzitutto per le categorie ordinistiche, il vero rebus da sciogliere. Se ne parlerà venerdì, quando il decreto economico del governo Draghi, destinato a caratterizzare tutta la politica sociale del nuovo esecutivo, vedrà la luce. Subito dopo il presidente del Consiglio terrà la prima vera conferenza stampa del proprio mandato, con cui illustrerà appunto le misure di sostegno per l’uscita dalla crisi.

Calcolo basato su perdite bimestrali, non annuali

Due giorni fa il sottosegretario all’Economia Claudio Durigon, in un’intervista al Messaggero, aveva messo sul tavolo una cifra: «Ristori medi da 4.200 euro». Ma nel caso delle libere professioni sembrerebbe un importo assai sovrastimato. E il motivo è semplice,  considerata l’ipotesi che le aliquote siano confermate: salvo positive sorprese dell’ultim’ora, sarebbe rimborsato il 20 per cento (per chi sta sotto i 400mila di fatturato, dunque la quasi totalità dei professionisti) della perdita sofferta nel bimestre medio, non nell’intero 2020. In pratica, il 20 per cento del contributo dovrebbe essere calcolato sulla perdita mensile media (moltiplicata per due) registrata nel 2020 rispetto al 2019. In una prima fase, a inizio marzo, si era ipotizzato di considerare la perdita di «fatturati e corrispettivi» registrata nel bimestre gennaio-febbraio 2021 rispetto a un’epoca totalmente pre-covid, ossia gennaio-febbraio 2019. Poi si è deciso di seguire la nuova modalità, più lineare, ma comunque “riduttiva”, anche per evitare problemi con le attività e i lavoratori autonomi stagionali. Dovrebbe trattarsi di un’erogazione una tantum, e non dilazionata. Secondo calcoli del Mef, riguarderebbe circa 800mila professionisti provenienti dalle categorie ordinistiche, dunque quasi la metà del totale, che è di 1 milione e 700mila iscritti agli albi. Plausibile che anche rispetto al totale dei 245mila avvocati si raggiunga una soglia di interessati prossima alla metà, comunque superiore a quota 100mila. Al momento, l’esecutivo Draghi prevede che il resto delle partite Iva coinvolte (imprese con fatturato 2019 fino a 10 milioni e professioni non ordinistiche) dovrebbe aggirarsi intorno ai 2 milioni (anche qui quasi la metà della platea, che annovera 4 milioni e 100mila contribuenti). Nel caso delle libere professioni dotate di un proprio istituto previdenziale autonomo, dovrebbero essere proprio le Casse a ricevere le domande e ad anticipare i bonifici, come avvenuto già con i bonus dello scorso anno.

La simulazione: con l’ipotesi più restrittiva, importi deludenti

Sta di fatto che gli importi difficilmente potranno essere considerati un’iniezione finanziaria sufficiente per rilanciare l’attività di studio. Secondo lo schema più verosimile al momento, un professionista che nel 2019 aveva fatturato 50mila euro, e che nel 2020 ha subito la perdita minima considerata, con ricavi scesi a 33mila e 500, otterrebbe il 20 per cento sul doppio della perdita media mensile, dunque appena 550 euro. Diversa sarebbe la prospettiva se il calcolo avvenisse sulla perdita annuale: il contributo ammonterebbe a 3.300 euro. Neppure in questo caso si potrebbe parlare di risorse tali da ristrutturare l’ attività, ma almeno scomparirebbe il retrogusto della beffa.