Sono stanco della arroganza di troppi giudici (non tutti per fortuna). Sono stanco di leggere sentenze che non rispettano la legge ma la rivoltano e la stirano manco fosse la pelle del coniglio in barba alla certezza del diritto. Sono stanco di motivazioni fantasiose, dove con le parole, grazie ad artefici retorici, si motiva l'immotivabile, con il risultato che la motivazione che dovrebbe costituire una garanzia per il cittadino diventa strumento per il giudice per esercitare, non la giustizia, non l'applicazione della legge, ma l'arbitrio più assoluto. Ieri (il 18 ottobre, ndr) è stata rigettata una richiesta di riabilitazione per una mia assistita per un furto di rossetti in un grande magazzino avvenuto nel maggio 2013, per il quale era stata comminata una pena a mesi 4 di reclusione ed euro 120 di multa, pena sospesa e non menzione. Il reato è estinto, da allora la mia assistita non ha commesso alcun reato e ha dato costante prova di buona condotta, ha saldato immediatamente le spese di giustizia, nessun danno da risarcire alla vittima, nessuna obbligazione civile derivante dal reato, essendo la refurtiva stata recuperata al momento della scoperta in flagranza del (mi permetto di dirlo ironicamente) grave fatto delittuoso. Eppure, in palese violazione di quanto prevede l'art. 179 cp, l'istanza è stata rigettata con una applicazione ed interpretazione del tutto arbitraria dell'obbligo di adempiere alle obbligazioni civili derivanti dal reato, decidendo, dato che non vi era costituzione di parte civile né alcun danno per la vittima, che una mancata donazione ad enti benefici costituirebbe un mancato adempimento a tale obbligo e che pertanto questo si qualificherebbe come una prova della mancata risocializzazione del condannato (dopo 9 anni!). Lettera firmata avv. Rodolfo Intelisano