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AVVOCATI
Pubblichiamo di seguito un ampio stralcio del documento con cui l’Unione nazionale Camere civili boccia la riformulazione del ddl firmato da Zanettin.
Lo scorso 23 settembre il governo ha proposto all’Aula del Senato di sospendere l’esame sulla proposta di legge a prima firma Pierantonio Zanettin (la numero 745) che, nel testo originario, ridefinisce la responsabilità professionale degli avvocati, e in particolare esclude che possa esservi colpa grave dell’avvocato in relazione al modo in cui il professionista interpreta le norme. Il governo aveva concordato col relatore un emendamento (classificato come “Proposta di modifica n. 1200”) che modificava tale “clausola di salvaguardia”, ma da diverse parti erano state avanzate obiezioni sulla riformulazione che, è stato osservato, potrebbe paradossalmente esporre la professione forense a rivalse persino più di quanto non avvenga a legislazione vigente. Ecco perché governo e Senato hanno concordato di sospendere l’esame sul testo e, contestualmente, di chiedere, su quell’ultima formulazione, un parere a Consiglio nazionale forense, Unione nazionale Camere civili e Unione Camere penali.
Nel 2023 il Sen. Pierantonio Zanettin ha presentato il Disegno di Legge n. 745, che interviene sull’art. 3 della legge professionale forense introducendo un principio di grande rilievo e attualità anche alla luce di un numero crescente di sentenze della Suprema Corte in tema di ritenuta inammissibilità dei ricorsi: l’avvocato risponde civilmente solo per dolo o colpa grave, con esclusione della colpa lieve e dell’attività di mera interpretazione normativa.
Dopo un ampio ciclo di audizioni, nel maggio 2025 si sono conclusi i lavori della Commissione Giustizia, e il 18 settembre scorso il Ddl sarebbe dovuto approdare in Aula al Senato per l’approvazione. Tuttavia, la discussione è stata rinviata a seguito della presentazione della proposta di modifica n. 1.200 al Ddl Zanettin. Come già scritto, l’Unione Nazionale delle Camere Civili ha accolto il Disegno di Legge mentre ha manifestato grandi perplessità per la proposta di modifica presentata. Per la precisione, due sono le modifiche proposte, modifiche che appaiono sostanziali e che snaturano il Ddl originario.
Definizione di colpa grave
Il testo del Ddl Zanettin prevedeva l’aggiunta all’art. 3, comma 2, L. 247/2012 del seguente periodo: “Per gli atti e i comportamenti posti in essere nell’esercizio della professione l’avvocato risponde dei danni arrecati con dolo e colpa grave; non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto”. Nel testo dell’emendamento (proposta n. 1.200) rimane il criterio di responsabilità per dolo o colpa grave ma viene introdotta una definizione di colpa grave, che comprende: “Inosservanza manifesta e non ragionevolmente motivata della legge o del diritto Ue”; “affermazione di un fatto la cui esistenza sia esclusa in modo incontrovertibile dagli atti esaminati”; la “negazione di un fatto la cui esistenza risulti in modo incontrovertibile dagli atti esaminati”. Inoltre, il Ddl Zanettin escludeva la responsabilità per l’attività interpretativa delle norme mentre nell’emendamento questa esclusione scompare, sostituita dalla definizione di colpa grave. Ebbene, la definizione di colpa grave dell’emendamento 1.200 non è per noi condivisibile per i seguenti motivi.
L’emendamento contestato riprende pari pari la disciplina prevista per la responsabilità dei giudici. Ma l’operazione è concettualmente erronea: i doveri del giudice e quelli dell’avvocato non sono assimilabili. Come ricordava Piero Calamandrei, il giudice deve infatti tendere alla sentenza giusta, mentre l’avvocato mira a ottenere per il cliente la sentenza favorevole. Due ruoli diversi, con logiche diverse.
Sul fatto
Il giudice valuta i fatti a processo concluso e deve essere vincolato a non affermare o negare ciò che risulta incontrovertibilmente dagli atti. L’avvocato, invece, agisce durante il processo, contestando i fatti e cercando di dimostrare una versione diversa da quella della controparte: è parte, non arbitro. Limitare la sua libertà di contestazione, introducendo un concetto elastico e opinabile essendo pur sempre soggetto a valutazioni e sensibilità personali come “fatto incontrovertibilmente provato”, significherebbe mettere a rischio il diritto di difesa, esponendo il difensore ad azioni di responsabilità solo perché ha messo in discussione la ricostruzione dei fatti.
Sul diritto
Anche qui la differenza è evidente: il giudice decide e quindi può incorrere in una manifesta violazione di legge. L’avvocato argomenta. Un’argomentazione, per sua natura, esprimendo un ragionamento, un’interpretazione, non può di per sé violare la legge: può essere infondata, inconferente o persino temeraria, ma per questi casi esistono già strumenti di responsabilità (divieto di prove false, divieto di lite temeraria). Legare la responsabilità dell’avvocato alla “manifesta inosservanza della legge” significherebbe limitare la sua libertà argomentativa e, in ultima analisi, comprimere il diritto alla difesa e alla libera esposizione delle proprie tesi pur in ipotesi avventate. L’attività difensiva si svolge tra l’altro in un contesto di incertezza e scontro processuale, spesso di “speciale difficoltà”: dovrebbe quindi godere di una tutela rafforzata.
(...) In altre parole, l’emendamento 1.200 non tiene conto della distinzione fondamentale tra decidere (compito del giudice) e difendere argomentando (compito dell’avvocato). Estendere agli avvocati criteri di responsabilità pensati per i giudici significa colpire il cuore del diritto di difesa. L’avvocato deve poter contestare liberamente i fatti e proporre le proprie interpretazioni del diritto, senza il timore che ogni argomentazione “inconferente” si trasformi in fonte di responsabilità.
Il concetto poi di “ragionevolezza” introdotto dall’emendamento (colpa grave come inosservanza “non ragionevolmente motivata”) è intrinsecamente elastico e discrezionale, rimettendo la valutazione al giudice. Questo rischia di costringere l’avvocato ad aderire solo a tesi giurisprudenziali consolidate, trasformandolo in un mero “ripetitore di precedenti” e frenando l’evoluzione del diritto vivente. In pratica, si aprirebbe la strada a una “difesa conformista” e a un appiattimento interpretativo, in contrasto con il ruolo dell’avvocatura quale motore di innovazione giuridica.
Infine, un sistema che imponga all’avvocato di seguire rigidamente giurisprudenza e precedenti rischia di favorire i sistemi di intelligenza artificiale predittiva, che proprio su database e precedenti fondano la loro forza. Si rischia quindi di ridurre il valore aggiunto dell’avvocato umano: la capacità di proporre soluzioni innovative e controcorrente.
L’emendamento n. 1.200, lungi dal rafforzare la chiarezza dei confini della responsabilità professionale, rischia pertanto di minare il diritto di difesa e di introdurre criteri di responsabilità inadeguati al ruolo dell’avvocato. La previsione contenuta nel Ddl Zanettin, che limita la responsabilità agli atti compiuti con dolo o colpa grave e che esclude espressamente l’attività interpretativa del diritto, appare invece coerente con la funzione difensiva dell’avvocatura e con le garanzie costituzionali.
Il Ddl Zanettin, nella sua forma originaria, non tutela gli avvocati in sé, ma i cittadini: garantisce che il difensore possa esercitare il mandato senza timore di azioni risarcitorie pretestuose. È presidio del diritto di difesa (art. 24 Cost.), non un privilegio di categoria e ancor meno di “casta”.
Come in medicina si è sviluppata la medicina difensiva, con la proposta di modifica si rischia di avere avvocati più intenti a difendere sé stessi dal rischio di azioni che a tutelare i clienti. E ciò minerebbe il giusto processo ex artt. 3, 24 e 111 Cost. (...).
L’Uncc ribadisce pertanto con fermezza che il Ddl Zanettin deve essere approvato nella sua formulazione originaria. È auspicabile che i parlamentari, in particolare coloro che condividono con noi la professione forense, colgano come l’emendamento proposto finisca per comprimere anche la loro stessa libertà di esercizio, incidendo di riflesso sul diritto di difesa dei cittadini. Per questo motivo, esso non può e non deve essere accolto.
Per l’Unione Nazionale delle Camere Civili, il Presidente Avv. Alberto Del Noce.
Hanno condiviso le presenti osservazioni: Avv. Fabio Sportelli, componente della Giunta esecutiva Uncc; Prof. Avv. Giuliano Scarselli, componente del Comitato Scientifico Uncc; Prof. Avv. Pier Filippo Giuggioli, componente del Comitato scientifico Uncc