A volte ci si chiede quanto tempo servirà all’avvocatura per riaffermare la qualità e il primato civile della propria funzione. Si tratta, è evidente, di una tra le principali preoccupazioni del mondo forense: veicolare un’idea diversa del diritto, dell’avvocatura, della toga come ideale di democrazia. E certo, di fronte al panorama di un’opinione pubblica sensibile ai contrasti esasperati, agli estremismi, più che alla dialettica costruttiva, può subentrare un senso anticipato di sconfitta. Così come può sconfortare la scarsa cultura delle garanzie, riflesso indiretto degli equivoci sulla figura dell’avvocato: lì forse la sfida è ancora più improba, perché il moralismo giustizialista si è insinuato, sembrerebbe, in un’ampia maggioranza di cittadini. A volte, quindi, si ricorre a un’espressione- rifugio: “Si riparta dalla scuola”. Ecco, l’avvocatura lo fa. Lo fa concretamente. E i risultati si vedono, si osservano, si ascoltano soprattutto. Come chi scrive ha avuto il privilegio di verificare, per essere stato componente della giuria di “Dire e contraddire”, il Torneo della Disputa arrivato alla terza edizione e di cui il 18 maggio si è celebrata la finale nella sede del Cnf, nell’affollata, entusiasta ed emozionante Sala Aurora di via del Governo vecchio.

LA FINALE DEL 18 MAGGIO

Ecco, il torneo della Disputa è stato innanzitutto una scoperta per i ragazzi delle tre scuole che si sono affrontate nella sfida decisiva. E precisamente, per gli studenti del Liceo San Giuseppe al Casaletto di Roma, che ha visto coinvolti allievi del terzo e quarto anno di diversi indirizzi, del Liceo delle Scienze umane Enea Silvio Piccolomini di Siena e del Liceo Classico Francesco Maurolico di Messina. E visto che la cronaca conta ed è giusto dare spazio all’impegno dei contendenti, le scuole citate sono in ordine crescente rispetto al podio finale: Roma terza con 368 punti staccata di pochissimo da Siena (382), Messina prima con un vantaggio consistente, 424 punti, ma guadagnato in capo a tre dispute tiratissime (il confronto si è svolto secondo lo schema del mini-torneo, ciascuna squadra ha incontrato le altre due). Lo sforzo di persuadere, e soprattutto di aderire alle regole della disputa classica – che rimandano a Schopenhauer e che sono state insegnate a tutti i ragazzi del torneo –, era diretto alla difesa e alla confutazione di una frase di Nelson Mandela: “L’uomo audace non è quello che non ha paura, ma quello che vince la paura”. Non era facile, e infatti nel primato di Messina hanno pesato alla fine non solo la tecnica del dire e contraddire in senso stretto, ma anche la forza della presenza scenica, l’eloquenza in senso generale. E pure Roma è stata splendida quanto a capacità di reggere il “palco” e Siena ha offerto un notevole senso di squadra, e ha aderito perfettamente all’idea di passione civile che la frase scelta si proponeva di suscitare.

IL MESSAGGIO SU TOGA E CIVILTÀ

Ora, oltre alla tecnica, conta la preparazione, il percorso. Perché si tratta delle tre scuole arrivate in finale in capo a una competizione che ne ha viste concorrere la bellezza di 42 da ogni parte d’Italia. E poi, durante i mesi, almeno due, che tutti i ragazzi, finalisti e non, hanno impiegato per acquisire e praticare le forme della Disputa, sono stati proprio gli avvocati a fornire gli strumenti e a proporre questa materia ai più sconosciuta. E, ciò che ancora più conta, alla fine della giornata conclusiva, i ragazzi che abbiamo interpellato hanno convenuto tutti su un aspetto: la funzione dell’avvocato è favorire il confronto e costruire così le basi della civiltà democratica, prima ancora che vincere le cause.

Ecco, partire dalle scuole e far passare il messaggio giusto: con il Torneo della Disputa, il Cnf ha centrato l’obiettivo. E, con un discorso che in qualche modo ha capovolto in chiave altruistica quest’idea, lo stesso presidente dell’istituzione forense, Francesco Greco, il 18 maggio ne ha parlato a inizio incontro: «Siete tutti già vincitori proprio perché vi cimenterete in un confronto civile, e naturalmente perché siete arrivati fin qui». Si sono confrontati e hanno capito. «L’avvocato è il mediatore, dunque il custode della democrazia. È colui che difende i diritti di ciascuno, anche dell’imputato che sarà scoperto colpevole», ha detto Federico Giuseppe Attinelli, ad esempio, il ragazzo che abbiamo intervistato in rappresentanza della squadra di Roma. Garanzie in connubio con la dialettica e quindi con «l’idea costituzionale repubblicana», per usare l’indovinata definizione di Emanuele Scaramuzzino, il testimonial ascoltato per la vincitrice Messina.

Cos’altro si poteva chiedere alla finale di questa terza edizione della “Disputa”? A distendere il clima ha provveduto appunto il presidente Greco, che ha subito trasmesso l’auspicio del Cnf: «Speriamo di vedervi diventare tutti avvocati», ha premesso, per ricordare quindi che le professioni giuridiche sono «custodi di libertà». E apprezzarla, la libertà, a volte sembra possibile solo «quando prima viene a mancare». Daniela Giraudo, consigliera nazionale che coordina la commissione Cnf Educazione alla legalità, ha ricordato il fascino del diritto («già nel 400 avanti Cristo abbiamo, con le 12 tavole, una prima compilazione del diritto privato e pubblico che ancora oggi costituisce l’impalcatura del nostro sistema giuridico »), l’utilità formativa della competizione, che «fa parte della vita», ma anche quella «felicità che non consiste nell’arrivare a destinazione ma nel godersi il viaggio: il percorso che vi ha portati fin qui sia per voi l’inizio di un lungo viaggio », ha augurato. E l’avvocata Angela Mazzia, che come componente esterna della commissione Educazione alla legalità è anche la responsabile, per il Cnf, del Torneo della Disputa, ha ricordato a propria volta che «la nostra missione, nel guidarvi in questa esperienza, è realizzare la vera funzione pubblica dell’avvocatura: contribuire a edificare una società pacificata». E ha quindi evocato l’insegnamento di Italo Calvino, che è tanto più urgente riscoprire «in un’epoca in cui si è perso il valore della parola: “La parola è capace di creare ma anche di distruggere: siate dunque consapevoli dell’importanza e della forza della parola”».

Si è passati alla competizione. Alla tesi e all’antitesi, enunciate in riferimento alla frase di Mandela. C’è stato impegno e anche assoluta serietà, da parte delle tre squadre di studenti, nel vivere la sfida, con il giusto slancio competitivo ma anche con un commovente spirito olimpico: alla fine di ciascuna delle tre sfide gli oratori tra loro avversari si sono spontaneamente riuniti in un caloroso abbraccio. Fino a lasciare a occhi spalancati la giuria, presieduta dalla consigliera Cnf Biancamaria D’Agostino: «Ci avete trasmesso emozioni», ha detto un attimo prima di annunciare il verdetto, «vi abbiamo visto immergervi nel passato per trovare gli strumenti con cui costruire un futuro migliore, di confronto basato sulla parola sull’ars bene dicendi, che per l’avvocato della Roma classica era un’onore prima che un’attività professionale ».

A completare il “collegio” sono stati la consigliera della Corte di Cassazione Francesca Picardi, l’attore Massimo Cimaglia, l’ingegnere gestionale Rodolfo Cavaliere, che ha investito le proprie competenze nella formazione e nella scienza dell’apprendimento, e il sottoscritto.

LE VOCI DEI RAGAZZI

Chi è uscito vincitore ha avuto la soddisfazione di suggellare un percorso impegnativo e appassionante. Tra le altre due squadre, la delusione ha lasciato in un attimo posto al senso di condivisione con gli avversari. Federico Giuseppe Attinelli, della scuola di Roma, ha colto perfettamente il nesso sostanziale tra funzione dell’avvocato e cultura del dialogo: «Che la professione forense rappresenti innanzitutto una spinta alla civiltà del confronto, prima ancora che la difesa della singola parte in causa, lo dimostra, a pensarci bene, il fatto stesso che in questa disputa dialettica noi ci siamo sentiti dei piccoli avvocati. Anziché sostenere le ragioni di una persona coinvolta in un processo, abbiamo sottoposto al giudice le nostre argomentazioni ». Il tutto ha un prezzo in termini di tempo, naturalmente, ma, spiega Federico, «siamo stati ben contenti di metterlo in conto: adesso, per dire, dovrò recuperare tutte in una volta le otto interrogazioni che avevo dovuto rinviare per prepararmi al torneo, ma questa è stata un’esperienza irripetibile, unica. E riguardo all’avvocato, ecco: che sia un promotore di dialogo prima ancora che il difensore di un determinato interesse, è dimostrato dal fatto che in gioco non c’è mai solo un certo bene, l’oggetto di un certo processo, ma più in generale i diritti della persona».

Scoprire davvero cos’è l’avvocatura: e torniamo lì da dove siamo partiti. Alla necessità e anzi alla straordinaria opportunità di far passare il messaggio più autentico sul ruolo civile dell’avvocato proprio a partire dai banchi delle scuole. «Prima di avventurarci in questa bellissima esperienza», spiega Gennaro Raccioppoli della squadra di Siena, «neppure ci eravamo resi conto di come saper davvero esprimere e condividere le proprie idee fosse il vero obiettivo dell’avvocato, che supera la vittoria in una causa. E davvero l’avvocato, gli avvocati che ci hanno guidato in questo percorso e l’avvocatura in generale, ci insegnano come la parola possa avere un potere sconfinato, e come questo potere vada utilizzato per favorire il confronto civile, che nella nostra società è il valore più importante, e che più di tutti va difeso. D’altronde noi stessi, in questo torneo, e soprattutto in questa giornata finale, abbiamo avuto la possibilità di conoscere ragazzi di altre parti d’Italia, il che è altrettanto formativo. E dire che all’inizio non pensavamo di aderire a questo progetto: tutto è iniziato quasi per caso, poi man mano ci siamo resi conto di quanto la materia, e il mestiere di chi ce l’ha proposta, fossero affascinanti».

E di Emanuele Scaramuzzino, della squadra vincitrice di Messina, abbiamo già ricordato le eccellenti intuizioni sulla «civiltà del dialogo» che coincide anche con le «garanzie assicurate nella difesa di chi è destinato a essere riconosciuto colpevole », e sull’avvocato che «non ha funzione conflittuale ma casomai dialettica», ed è per questo «l’anima della democrazia e del repubblicanesimo ». Un ideale che, ricorda giustamente Emanuele, «coincide proprio con la cultura del confronto, del dialogo». Si può dire che il Torneo della Disputa ha centrato in pieno anche l’obiettivo auspicato all’inizio della finale dal presidente del Cnf Greco: avvicinare alla professione di avvocato: «Non solo si è trattato di un’opportunità di crescita, considerato che “Dire e contraddire” », osserva Emanuele, «ci ha permesso di andare ben oltre il perimetro dei programmi tradizionali, ci ha consentito di immergerci nel mondo del diritto e dunque in un campo di formazione propria del mondo universitario. Non solo: personalmente posso dire che prima di questo progetto non consideravo la pratica forense come un possibile obiettivo: ora posso dire che è nata in me una passione. Da studente, penso di aver compreso che il diritto, la giurisprudenza, sono la quintessenza delle scienze sociali». Oltre non si potrebbe andare. E anzi forse l’avvocatura, a specchiarsi nell’entusiasmo di questi ragazzi, può solo ritrovare tutte le ragioni di una vita dedicata alla difesa dei diritti.