Avvocati e magistrati si sono confrontati ieri sui delicati rapporti tra processo penale e processo tributario: un’occasione per fare il punto sulle riforme avviate e sugli eventuali interventi migliorativi riguardanti la normativa esistente. L’iniziativa si è svolta nella “Sala Aurora” di via del Governo Vecchio, sede del Consiglio nazionale forense. I lavori sono stati aperti dall’avvocato Arturo Pardi. A portare i saluti dell’avvocatura è stato Giuseppe Gaetano Iacona del Cnf, il quale ha rilevato che mai come in questo momento sono preziose le occasioni di confronto tra i giuristi.

Il punto di vista della magistratura è stato espresso da Gastone Andreazza, presidente della Terza Sezione penale della Corte di Cassazione. L’intervento di Andreazza ha avuto come punto di partenza la valutazione della prova «oltre ogni ragionevole dubbio», con l’auspicio di una totale separazione tra i due procedimenti (quello penale e quello tributario). Grande attenzione è stata rivolta dal magistrato della Suprema Corte all’acquisizione e valutazione dei mezzi di prova. Di qui, poi, un approfondimento sul processo verbale di constatazione, sulle presunzioni e sulla sentenza tributaria con un particolare riferimento al processo verbale sul quale la giurisprudenza si è più volte espressa in merito alla sua natura ed utilizzabilità. Una differenza, che può sembrare impercettibile, è quella tra documento e atto. In quest’ultimo caso aggancia le garanzie previste del Codice di procedura penale.

Il punto di vista dell’avvocatura sulla delicatezza dei rapporti tra processo penale e processo tributario è stato invece espresso dal penalista Lorenzo Imparato (vicepresidente del Centro di Diritto penale tributario). L’avvocato del Foro di Torino ha posto all’attenzione dei presenti gli effetti penali delle scelte conciliative del contribuente-imputato in ambito fiscale. Secondo Imparato, è fondamentale trovare un punto di equilibrio e di incontro tra il contribuente e le pretese dell’Erario. Altro aspetto esaminato è stato quello degli effetti diretti delle confische, correlate con le procedure conciliative.

Ciro Santoriello, sostituto procuratore della Repubblica di Torino, ha analizzato, sulla base della propria esperienza, la fase investigativa. «In presenza di una presunzione – ha rilevato il magistrato - devo andare alla ricerca di fatti che sono oggettivamente dimostrativi dell’evasione fiscale. Il pubblico ministero deve svolgere approfondimenti autonomi. Ritengo deleterio l’approdo giurisprudenziale secondo cui in presenza di presunzioni occorrono riscontri per condannare. Sotto il profilo operativo disvelano la loro criticità. Spesso, vengono adottati sequestri preventivi fondati su presunzioni e l’attività ulteriore di accertamento ha effetto negativo o non viene svolta».

Gianluca Gambogi, penalista in Firenze, ha fatto riferimento alla sua lunga esperienza nelle aule di Tribunale. «Affrontare oggi una difesa penale tributaria – ha commentato - fa tremare i polsi. Il profilo delle garanzie, con riferimento al doppio binario, non è proprio tale. Nel rapporto tra processo penale e processo tributario ci sono delle questioni difficili da gestire. Prima di tutto il concetto di imposta evasa».

A questo punto Gambogi si è posto una domanda: «Chi determina l’imposta evasa, il giudice tributario o il giudice penale? La Corte di Cassazione ha riferito che il giudice penale ha l’ultima parola, dato che esercita il giudizio con più garanzie. Un altro dato è legato al principio di specialità. Il procedimento penale gode di maggiori garanzie. Il penalista, alla fine, nel regime dei rapporti tra processo penale e processo tributario farebbe bene a concentrarsi sulla difficoltà estrema della difesa». Altro tema sul quale Gambogi ha invitato a riflettere riguarda il legame tra reati di natura diversa. «Molto spesso – ha evidenziato - i reati tributari non si presentano da soli. Questo è un ulteriore aspetto da prendere fortemente in considerazione. Si pensi al rapporto con il riciclaggio o con altri reati».

Le conclusioni del convengo sono state affidate all’avvocato Piero Melani Graverini (già Consigliere nazionale forense), che ha auspicato una sempre maggiore collaborazione tra i protagonisti della giurisdizione. «Avvocati e magistrati – ha affermato Melani Graverini - si trovano tutti dalla stessa parte. La difesa del cittadino è la giurisdizione e non riguarda solo l’avvocato. Gli spunti emersi nell’iniziativa del Consiglio nazionale forense hanno illuminato tutta la materia oggetto di discussione. La recente riforma Cartabia ha dimostrato quanto poco l’avvocatura abbia potuto incidere. Un recupero della credibilità dell’avvocatura può far sì che il processo penale riprenda alcune caratteristiche ben precise. L’unione delle componenti della giurisdizione può dare credibilità all’intera giustizia».