L’idea di introdurre un ulteriore esame deve essere aggettivata come inopinabile per due ordini di motivi. Il primo afferisce al contesto generale, mentre il secondo discende dall’imperativo di rango costituzionale.L’attuale crisi ha drasticamente interrotto le dinamiche del lavoro e dell’impresa con ovvie ricadute anche sull’economia generata, in via consequenziale, dall’esercizio di tutte le libere professioni. Non può revocarsi in dubbio il grado d’inferenza derivante dalle esorbitanti cancellazioni dall’Albo forense che dalla distruzione di quella economia hanno trovato diretta derivazione. La situazione generata dalla crisi ha reso difficili le scelte di Governo e ciò rappresenta un altro dato storico irrefutabile. Del resto, è pressoché impossibile coniugare a lungo e in modo ottimale la “situazione d’emergenza” e lo “Stato di diritto”. Ciò che conta è garantire le libertà che questo Stato è tenuto, in ogni caso, ad assicurare ai consociati.In tale contesto, non mancano bizzarre iniziative contraddistinte, talvolta, da una forte deriva autoritaria. E ciò che spaventa è la caratterizzazione del tipo di deriva. Allo stesso modo si atteggia l’idea di introdurre un esame di riabilitazione straordinario limitativo del diritto alla prosecuzione del libero esercizio della professione forense. Non occorre esperienza di settore per avvertire un senso di forte distacco da simili proposte. Ciò vale sia per il giovane professionista che ha conseguito l’abilitazione, ma anche per l’anziano avvocato la cui credibilità è stata conquistata in decenni di attività. D’acchito ci si rende conto che l’idea di per sé considerata è in grado di minare anche l’indipendenza dell’avvocato. La connotazione liberale che promana dall’indipendenza della professione forense rimarrebbe apoditticamente subordinata nel tempo da un esame ulteriore e successivo, ossia da una prova di riabilitazione straordinaria -se essa sarà superata- nonostante il conseguimento dell’originario esame abilitante. Sarebbe come imporre al cerusico di fermarsi per recarsi presso l’Ente che lo abilitò per sottoporsi all’esame di ri-abilitazione straordinario al fine di dar seguito all’intervento chirurgico e soddisfare le aspettativa di vita di quel paziente che, in sala operatoria, sta attendendo la rimozione del tumore. I contenuti di questa peregrina idea sono scanditi, in primo luogo, dalla cornice anomala delineata dal suo autore in relazione ad una non meglio circostanziata ipotesi di “ipertrofica professione forense”. Sul punto tale autore dà prova di aver surclassato l’attuale situazione di crisi contraddistinta dallo “stato di necessità” in cui versa incolpevolmente anche la Classe Forense. L’autore della peregrina idea dà prova di aver sottovalutato, inoltre, il grado di inferenza di una vera e propria “mattanza in senso economico” che ha inciso su tutte le professioni libere e dà prova anche di aver sottovalutato gli sforzi di un Governo in un complesso quadro socio-economico-politico non senza considerare, infine, che la professione forense è contraddistinta dall’obbligo di comprovare il costante aggiornamento professionale sotto pena di specifiche sanzioni. In senso tecnico giuridico, la inopinabile idea (già di per sé vistosamente peregrina) trova un altro limite oggettivo nel dettato costituzionale di cui al comma quinto dell’art. 33 della Costituzione dal seguente tenore: “È prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale”.La norma che, a chiare lettere, prescrive lo svolgimento di un esame di Stato abilitante non già un esame straordinario di riabilitazione dà luogo ad un ulteriore assioma in ragione del quale ogni eventuale modifica dell’art. 33 che precede resterebbe lettera morta senza l’osservanza del successivo irriducibile Art. 138 che disciplina i casi di revisione della Costituzione. La Corte Costituzionale ha sempre sostenuto che esistono principi che racchiudono l’essenza dei valori supremi sui quali si incarna la Costituzione italiana (Cost. n. 1146/88) e, tra questi, vi è certamente l’art. 33 Cost. che, se fosse modificabile ex art. 138 Cost., apporterebbe una incisiva discontinuità rispetto all’attuale disciplina tale da intaccarne gravemente il suo significato di garanzia e di essenzialità. L’idea di introdurre un esame di riabilitazione straordinaria per l’avvocato già in possesso dell’abilitazione è, dunque, contraria ai principi della Nostra Costituzione e al principio di indipendenza della Classe forense. Inoltre, non tiene conto dell’attuale contesto socio-politico-economico in cui versa il Paese. La Costituzione disciplina l’accesso alla libera professione forense e lo Stato che ne garantisce la piena attuazione dà ai consociati certezza di garanzia, di adeguata professionalità e di indipendenza. Quest’ultima, in quanto tale, vede essere scevra da prove, limiti o balzelli oltre il dettato costituzionale. Del resto “solo là dove gli avvocati sono indipendenti, i giudici possono essere imparziali” (P. Calamandrei).Ciò che colpisce, infine, non è il contenuto della proposta formulata dal Collega. Ciò che amaramente colpisce è il fatto che tale inopinabile idea promani da un professionista avvocato.Vincenzo Vincenzo Massimiliano Di Fiore Cassazionista Relatore Corsi Sovraindebitamento Formatore con nomina CSM Giudice onorario 1^ sez. civile Trib. Perugia Socio onorario Camera civile Perugia