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La Corte dei Conti, nel presentare la relazione della Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, è stata chiara: il processo civile telematico è utile, ma la digitalizzazione riduce solo in parte la durata dei processi. Contro la giustizia lumaca svolgono un ruolo fondamentale le procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie. Secondo la Corte dei Conti, le novità introdotte dal Piano nazionale di ripresa e resilienza relative all'ufficio per il processo, modulato sull'esempio anglosassone, e alla sperimentazione dell’intelligenza artificiale nei giudizi sono apprezzabili. Allo stesso tempo si sottolinea che la digitalizzazione dei processi «è un percorso lungo e laborioso». Lo testimoniano le indicazioni dell’Unione europea sulla riduzione dei tempi della giustizia italiana.
La posizione della magistratura contabile è condivisa dal professor Eugenio Dalmotto, associato di Diritto processuale civile nell’Università di Torino, che sottolinea al tempo stesso la centralità dell’avvocato in questo periodo caratterizzato dalle riforme. «Condivido – afferma – quanto sostiene la Corte dei Conti. Il processo civile telematico non comporta un abbattimento dei tempi di trattazione del processo, ma porta altri benefici. In primo luogo razionalizza e alleggerisce il lavoro delle cancellerie, con l’aggiunta di una riduzione complessiva dei i costi. Il lavoro diventa più rapido per i cancellieri con gli avvocati che svolgono gran parte del lavoro. Prendiamo, ad esempio, l’iscrizione a ruolo. Un tempo era necessario mandare qualcuno in cancelleria con il fascicolo, c’era un impiegato che lo riceveva, controllava la regolarità dell’iscrizione e svolgeva altre operazioni. Oggi l’iscrizione a ruolo viene fatta dal computer dell’avvocato ed è questo che fa tutto. Stesso discorso per le notifiche che possono essere svolte tutte dallo studio legale con la pec. La prospettiva, molto futura, potrebbe essere quella di disporre di applicazioni di intelligenza artificiale tali da aiutare i giudici nella redazione delle bozze delle sentenze, nella verifica della regolarità dei presupposti processuali. Tutto questo però mi sembra ancora molto lontano, collocato in un futuro remoto».
Il professor Dalmotto concorda con quanto sostengono altri insigni processualcivilisti, a partire da Francesco Paolo Luiso: «Il vero problema delle durate processuali non è dato dalla inadeguatezza del rito attuale, bensì dal collo di bottiglia creato dai provvedimenti in uscita. Alla fine le cause devono essere decise. Per scrivere più sentenze, dopo lo studio del fascicolo e la redazione delle motivazioni, occorrono più giudici». Questo ragionamento è la premessa per sottolineare l’importanza delle procedure Adr (Alternative dispute resolution). «Sono – aggiunge Dalmotto – la soluzione per diminuire il numero di cause che debbono essere decise e per fare andare più veloci le altre. In questo contesto gli strumenti di giustizia alternativa sono preziosi. Mi riferisco al potenziamento della conciliazione, della mediazione, della negoziazione assistita, con l’aggiunta dell’arbitrato, che potrebbero realizzarsi riconoscendo il gratuito patrocinio. Il gratuito patrocinio è però riconosciuto solo nei casi in cui la mediazione o la negoziazione assistita è obbligatoria e non quando volontaria».
Secondo il professor Dalmotto occorre incentivare l’accesso all’Adr. «Se io sono un non abbiente – conclude -, di sicuro non mi rivolgerò alla giustizia alternativa, ma andrò davanti al giudice. Altro aspetto, a mio avviso rilevante, è quello degli incentivi fiscali. Sono riconosciuti fino ad un certo limite, ma nulla è previsto nella negoziazione assistita. Manca un incentivo ad andare in quella direzione. Se mi avvalgo della mediazione, della negoziazione assistita o dell’arbitrato non affollerò i Tribunali e consentirò allo Stato di ottenere un risparmio. Prevedere delle agevolazioni fiscali per le procedure Adr sarebbe una soluzione utile con immediata efficacia. Un istituto che il precedente ministro della Giustizia non è stato affatto considerato è stato l’arbitrato di continuazione o di trasferimento, secondo il quale una causa già incardinata può continuare sotto forma di arbitrato. È un istituto previsto in una legge di alcuni anni fa sulla degiurisdizionalizzazione».