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Si apre oggi a Rende, in provincia di Cosenza, presso il Centro congressi dell’Università della Calabria, la nona assemblea annuale dell’Unione nazionale Camere civili. L’appuntamento coincide con un crocevia di cambiamenti per la giustizia e, soprattutto, per il processo civile, in parte “accelerati” dagli impegni del Pnrr. Molte delle novità introdotte con la riforma Cartabia incidono in maniera significativa anche sulla qualità e l’agibilità stessa della funzione difensiva. Ne parliamo con l’avvocato Antonio de Notaristefani, presidente dell’Uncc, che questa mattina presenterà all’assemblea la sua relazione introduttiva.
Presidente de Notaristefani, le accelerazioni del Pnrr spingono la figura dell’avvocato verso un modello sempre più ‘ efficientista’. In un quadro simile, quanto spazio resta per una effettiva tutela dei diritti?
Premesso che il recupero dell’efficienza era una necessità, non c’è dubbio, il discorso merita una riflessione non superficiale. Avere una sentenza giusta a distanza di venti anni vuol dire negarsi la tutela. Serve però un bilanciamento di interessi diversi. In altre parole, ben vengano gli strumenti alternativi, ma non devono essere resi obbligatori.
Efficienza uguale risorse. Le carenze di personale quanto incidono?
Guardi, la distribuzione del personale negli uffici giudiziari, mi riferisco sia ai magistrati che agli amministrativi, è oggi totalmente irrazionale. La loro distribuzione dovrebbe essere invece collegata alla domanda di giustizia. Nel distretto di Corte d’appello di Napoli, faccio un esempio, sono evidenti queste sperequazioni, con un rapporto magistrati- processi quanto mai variabile da Tribunale a Tribunale. Purtroppo le piante organiche non sono flessibili e questo è un problema serio che nessuno vuole risolvere.
Perché?
Ogni volta che si tocca questo tema, ma in genere qualsiasi altro tema in materia giustizia, bisogna tenere presente che i magistrati presidiano da sempre l’attività legislativa. A fare le leggi sono di fatto i magistrati stessi che poi dovranno applicarle.
Che ruolo hanno avuto gli avvocati nelle varie commissioni di riforma della giustizia?
Fino ad ora abbiamo dato il nostro contributo, partecipando a tutte le attività delle commissioni. Non vorremmo però trasformarci in ’ ostaggi’ dei magistrati, che in quei gruppi di studio ed elaborazione sono la maggioranza e hanno sempre l’ultima parola.
Con l’arrivo di Carlo Nordio a via Arenula è cambiato qualcosa a riguardo?
No. I magistrati continuano a essere determinanti. Ma ciò dipende dalla ’ vischiosità’ ministeriale che impedisce a chiunque di modificare lo status quo.
Secondo lei, quale è un argomento che andrebbe valorizzato?
A parte il numero di processi, esorbitante in questo Paese, oggi prevederne il loro esito è impossibile. Eppure la prevedibilità sarebbe il migliore strumento deflattivo. Dall’inizio alla fine di un processo civile, con una durata media di circa dieci anni, la Cassazione avrà cambiato idea almeno tre volte. Questo significa che una persona è invogliata a presentare ricorso. Ci prova, spera nel colpo di fortuna. Ma tutto ciò moltiplica il contenzioso.
A proposito di efficienza, è da pochi giorni in vigore il decreto ministeriale che definisce in modo millimetrico lo spazio a disposizione del difensore per l’estensione degli atti nel civile. È solo un’ottimizzazione di tempi e forme o è il primo passo verso un modello di giustizia civile più sbrigativo, sul modello “americano”?
Fa sinceramente sorridere migliorare la giustizia in questo modo. È una previsione senza senso. Sarebbe come dire al medico che per diminuire le liste di attesa deve visitare i pazienti in meno tempo.
I magistrati dicono che gli avvocati scrivono troppo.
Noi siamo vittime non del tutto innocenti. Dovevamo fare uno sforzo per migliorarci. Ma una imposizione dall’esterno è poco utile. Si tratta di un fenomeno culturale che va risolto mediante una formazione specialistica e non con i diktat.
Pensa che il processo civile telematico possa aver influito? Leggere centinaia di pagine a video, oggettivamente, non è facile.
È vero. Lo schermo crea difficoltà. Man non è possibile trattare la giustizia in maniera così superficiale quando sono stati gli stessi magistrati a spingere per la trattazione scritta che nel civile tradizionale ha raggiunto ormai il cento per cento. È rimasto qualcosa in presenza nel fallimentare, nel diritto dell’impresa e nel diritto di famiglia.
Nella vostra assemblea, la tavola rotonda che dà anche il titolo all’intera due giorni, “L’avvocato tra tutela dei diritti, obblighi di solidarietà e ragioni di efficienza”, sembra voler dare spazio anche a una “questione sociale” ormai da tempo aperta all’interno della stessa avvocatura.
In Italia questi sono argomenti in contrasto fra loro. Serve invece trovare una sintesi.
Da ultimo, ma non certo per importanza, se dovesse dare un voto a questi primi mesi di vigenza delle nuove norme sul processo civile introdotte con la riforma Cartabia, che voto darebbe?
In precedenza le riforme venivano fatte a costo zero. In questo caso sono stati stanziati ben 3 miliardi di euro. Fatta questa premessa, diciamo che si è persa la dimensione etica del processo. Ora è tutto un flusso di numeri, si parla solo di processi che devono essere ’ smaltiti’. Una parola che non è il massimo. Comunque non darei un voto, limitandomi a ricordare che in questi mesi il ministro Nordio ha più volte affermato che è impossibile raggiungere gli obiettivi concordati con l’Europa in tema di diminuzione dell’arretrato. Si tratta di obiettivi che dovevano essere raggiunti proprio grazie alla riforma Cartabia. Che voto dare, quindi, a un riforma che ha mancato il suo scopo? Non mi pare serio.