La scelta per molti avvocati, anche del Foro di Milano, di cambiare vita lavorativa, partecipando ai concorsi pubblici, è giustificabile. La spinta a voltare pagina e a lasciare lavvocatura non nasce adesso anche se ulteriori difficoltà sono state acuite dalla pandemia. Occorre fare unanalisi più profonda, che tenga conto di un quadro più complessivo che è cambiato ed è peggiorato oltre un decennio fa. Di questo ne è convinto Vinicio Nardo, presidente del Coa di Milano. La capitale economica e finanziaria, con il secondo Tribunale più grande dItalia, è spesso presa in considerazione per esaminare gli scenari complessivi e prevedere alcune tendenze. Qui si celebrano alcuni dei processi più importanti. Negli uffici di Corso di Porta Vittoria e via Freguglia stiamo assistendo ad uno scontro nella magistratura dagli esiti ancora imprevedibili non solo per il mondo giudiziario. «Gli ultimi tredici anni commenta lavvocato Nardo - hanno visto esplodere tre crisi diverse, che hanno toccato la nostra professione perché siamo naturalmente parte di tutti i settori della società che ne è stata colpita. La crisi finanziaria del 2008, la crisi delle risorse della pubblica amministrazione dal 2010 e infine la crisi pandemica dal 2020. Il nostro lavoro è cambiato inevitabilmente. Con esso le opportunità di chi ha studiato per diventare avvocato e di chi ha fatto questa professione in un mondo che già era in fase di cambiamento prima del 2008. Un mondo che potremmo dire essersi ribaltato in meno di un quindicennio». Il momento delicato non deve far sprofondare lavvocatura nella frustrazione e vedere tutto nero. Occorre sapersi rinnovare e per usare un termine tanto in voga negli ultimi tempi essere resilienti. «Affermare che esistono difficoltà oggettive dice il presidente del Coa di Milano - non significa obbligatoriamente sostenere che i problemi superino le nuove possibilità. Dipende da come si approccia il rapporto con l'innovazione, che è sicuramente quella tecnologica ma soprattutto quella mentale di una professione sempre più ad immagine del personaggio di Pulp Fiction, che si chiama Wolf e risolve problemi, e non quella dell'avvocato che guadagna dalle liti e dalla lunghezza della giustizia ingiusta. Questo è lo spirito che anima moltissimo del lavoro che stiamo facendo a Milano come Ordine e che la pandemia, la terza crisi definitiva, ci ha obbligato ad accelerare ancora di più, senza ovviamente dimenticare di aiutare chi tra i colleghi è in gravi difficoltà, affinché non debbano lasciare la professione». Chi ripone nellarmadio la toga per approdare ai lidi più tranquilli del posto fisso fa una scelta precisa, rispettabilissima. «Sono da considerare una risorsa importante prosegue Nardo - anche coloro che scelgono percorsi professionali complementari, entrando nella pubblica amministrazione. Noi avvocati del resto siamo il riferimento dei diritti per cittadini, imprese, associazioni e pubbliche amministrazioni, per cui non possiamo che migliorare la sensibilità del servizio statale. Ribadisco, fermo restando che nostro dovere è prima di tutto costruire percorsi per aiutare il rilancio della professione in questa nuova epoca». La tendenza sarà quella di un numero sempre minore di toghe nellavvocatura? Secondo il numero uno degli avvocati milanesi, non è questo il punto nevralgico della riflessione e comunque immaginare un futuro in cui la professione legale perderà appeal è irrealistico. Anzi, potrebbe essere il contrario. «Questa fase della storia afferma - avrà sempre bisogno di avvocati, perché tutte le transizioni radicali si superano solo se si percorrono con chi sa come tutelare e promuovere vecchi e nuovi diritti dentro il cambiamento. Noi avvocati possiamo essere i copiloti per tutti i soggetti deboli e forti che devono affrontare il viaggio verso un domani diverso». Nardo ritiene che le chiave di volta sia quella di offrire servizi legali di qualità con professionisti allaltezza delle situazioni: «Non ci saranno meno toghe, ma avvocati più capaci di competere e far competere i cittadini, le imprese, le associazioni e le PA che cambiano senza soccombere al cambiamento. Per questo a Milano sosteniamo con forza la digitalizzazione e la stiamo portando dentro la professione e non solo nei servizi. Le specializzazioni per noi non sono una partita da giocare in difesa e con paura di cosa perdiamo del vecchio mestiere, ma con l'entusiasmo di cosa guadagniamo con la nuova professionalizzazione. Per questo siamo dalla parte dello sviluppo della mediazione non come giustizia alternativa, ma come difesa di interessi che consente all'avvocatura di lavorare con più efficacia sulla difesa dei diritti». Un acronimo, Pnrr, ormai sulla bocca di tutti, sembra essere la soluzione di tutti i problemi, compresi quelli che interessano lavvocatura. È meglio comunque stare con i piedi per terra. Il cammino è lungo. «Il post pandemia evidenzia Nardo -, purtroppo, ancora non lo vediamo del tutto e forse ci porteremo bene o male questa fase ancora per almeno un anno. Ma sicuramente il Pnrr con i suoi circa 200 miliardi e gli altri 100 miliardi di euro che l'Europa ha già stanziato per l'Italia sono una straordinaria rampa di rilancio per noi avvocati». A detta del presidente del Coa di Milano, occorre essere protagonisti del proprio destino. «Fino ad oggi conclude - abbiamo guardato un po troppo al dito e abbiamo perso di vista la luna. Ci siamo appassionati all'ultimo miglio delle riforme della giustizia, abbiamo però lasciato indietro la vera opportunità data dal Pnrr per gli avvocati. Quella di essere protagonisti, sia nella fase di partenza dei progetti finanziati per il rilancio e la ripartenza, sia nella gestione nuova di settori che diventeranno sempre più sviluppati e evoluti nell'economia, nel sociale e nella pubblica amministrazione. La sostenibilità contaminerà tutto, dal nostro modo di lavorare ai settori per cui lavoriamo. Una opportunità che, se siamo aperti e veloci, metterà gli avvocati in prima fila tra i protagonisti dei prossimi trentanni in Italia e in Europa».