Sono pienamente d’accordo sulla necessità di proteggere sia gli indagati che i terzi quivis de populo dalla diffusione di notizie che non raccontano di reati o non abbiano alcuna incidenza sulla pubblica opinione, a parte il gratuito pettegolezzo. Ma c’è un ma. Un dubbio mi sorge: e se la pubblica opinione ha interesse a sapere che un deputato, magari di quella parte politica che si batte per la rigorosa punizione della tossicodipendenza più che del traffico di stupefacenti, fa regolare uso di essi?

La funzione di cane da guardia della democrazia si esercita anche così. Se il leader del partito della famiglia è un noto utilizzatore di servizi professionali resi da giovani e belle donne, forse lo vorrei sapere per poter dare il mio voto consapevolmente. La privacy di una persona nota subisce limitazioni proprio per la sua notorietà, così ritengo che se le notizie di gossip relative ad avvenimenti della vita privata di un personaggio dello spettacolo siano lecite, perché egli ha scelto di rendersi famoso, altrettanto non possa dirsi per i suoi dati sanitari. È una notizia che un politico di primo piano sia un abituale consumatore di stupefacenti, probabilmente essa non lo è se il politico ha il rango di “peone” del Parlamento o di un’Assemblea regionale.

Lasciate che mi congratuli con voi per la qualità del nostro giornale, una spanna (o due) sopra gli altri quotidiani.

Francesco Romanelli, avvocato

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Leggo sul Dubbio l’indignato articolo sulla gogna in home page della notizia che Miccichè, politico di spicco in Forza Italia, acquistava droga. Non capisco l’indignazione: il menzionato parlamentare è uomo politico e pubblico, e fra l’altro fa parte dell’attuale maggioranza che propone il pugno di ferro e la tolleranza zero verso i tossicodipendenti.

La notizia che questo personaggio (si tratta peraltro di un pregiudicato) usi la cocaina e per approvvigionarsi utilizzi l’auto blu mi sembra rilevante e di giusto risalto sui media.

Sono turbato dell’approccio del Dubbio riguardo alla libertà di stampa, approccio che certo non rappresenta la categoria: ci battiamo nel mondo in difesa della democrazia e delle libertà fondamentali, fra cui quella di informazione, e il Dubbio la combatte in Italia. Lo trovo incredibile.

Andrea Govi, avvocato

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Ringraziamo entrambi, per le parole di apprezzamento (dell’avvocato Romanelli) come per il carattere argomentato delle critiche (anche di quelle severe dell’avvocato Govi). Sì, è indiscutibile la nostra diffidenza verso l’intrusività dell’informazione giudiziaria rispetto al potere: non certo quando ne vengono svelate le contraddizioni ideali, la distanza tra teoria e prassi, ma in tutti i casi in cui, come stavolta, si demolisce l’immagine stessa della persona. Direte: e perché mai, vogliamo sapere tutto. Certo, le Corti europee difendono da decenni il diritto di noi giornalisti a violare la privacy di coloro che rappresentano le istituzioni, proprio in relazione al rilievo pubblico. Abbiamo almeno due perplessità, rispetto a questo sedimentato orientamento. Primo, demolire di continuo la credibilità della politica significa demolire l’idea stessa di rappresentanza democratica, fino ad allontanare le migliori espressioni della società dall’impegno pubblico. Secondo, la diffusione di notizie prive di rilievo penale veicolata da intercettazioni o altri strumenti d’indagine assicura a un altro potere, quello giudiziario, un peso strabordante su tutti gli altri. È cosi da trent’anni, da Mani pulite. Il risultato è l’antipolitica, ma soprattutto il disimpegno delle persone per bene da quella categoria che è appunto l’impegno civile, a cui quasi nessuno più vuole essere accostato. Vorremmo più equilibrio, tra politica e giustizia, tra giustizia e informazione. Non per protezionismo. Ma per amore di quel bene insostituibile che è la sovranità popolare. Che, senza la politica, svanisce nel soliloquio di altri poteri, legittimati solo dalla loro forza.

Errico Novi, vicedirettore del Dubbio