Se intendono relegare la giustizia, i tribunali, l’accesso ai diritti, nel corner defilato in cui sembrano averla lasciata in campagna elettorale. O se invece hanno idee più costruttive. Si parla di equo compenso, dunque, ma sia Masi che Paparo lo fanno con garbo, senza acrimonie. Con loro due, discutono la vicepresidente del Senato e responsabile Giustizia del Pd Anna Rossomando, i “capi dipartimento” di FdI, Andrea Delmastro, e Azione, Enrico Costa, la primissima linea di FI e sottosegretario a via Arenula Francesco Paolo Sisto, e Francesco Urraro, tra i pochissimi parlamentari che possano vantare un passato nelle istituzioni forensi: il senatore leghista è stato presidente dell’Ordine di Nola, il Foro di Masi. Allo scambio tra avvocati e politica si aggiunge Giulio Biino, che presiede il Consiglio nazionale del Notariato. E nel complesso tutti si dicono pronti a «cambiare», seppur con sfumature diverse. Rossomando in realtà mette al centro dell’agenda innanzitutto «il monitoraggio delle riforme approvate nella legislatura appena conclusa: un’occasione che dovrebbe vedere unite politica, avvocatura e magistratura». La senatrice dem è tra i più netti nello sbilanciarsi sull’avvocato in Costituzione, riforma per Masi ancora più necessaria dopo le forzature sul patrocinio inserite nel ddl sulla giustizia tributaria: «L’avvocato in Costituzione è previsto nel nostro programma», ricorda Rossomando. Costa invece si concentra sui fuori ruolo nella magistratura: «Palazzo dei Marescialli lancia gridi di dolore sulle carenze d’organico, ma allora perché autorizza continuamente i distacchi dei fuori ruolo)». E poi segnala il nesso sottovalutato fra la riforma penale e quella del Csm: «Nella prima si sancisce che il rinvio a giudizio sia chiesto e ordinato solo se c’è ragionevole previsione di condanna. Nella seconda sono riuscito a inserire il fascicolo di valutazione sulle toghe: sarà il caso di mettere un asterisco per chi manda a processo imputati puntualmente assolti?». Urraro è invece il solo a lanciare un allarme sulle condizioni del Pnrr: «Chi conosce il sistema giustizia sa che l’idea di ridurre entro il 2025 la durata dei processi del 40 per cento nel civile e del 25 nel penale è irrealizzabile. Le riforme hanno privilegiato i riti ma la giurisdizione ruota attorno ad altro: all’edilizia giudiziaria e ad adeguate risorse di personale che invece mancano». Il rappresentante del partito favorito per la conquista di Palazzo Chigi, Delmastro, può permettersi il lusso di parlare da politico di opposizione, e impallinare i risultati raggiunti nell’era Cartabia: «Si doveva ripristinare un istituto di civiltà giuridica qual è la prescrizione sostanziale, invece non si è avuto il coraggio di congedarsi dall’era bonafediana e si è trovata la mediazione dell’improcedibilità, un frankestein processuale che non esiste in alcun altro Paese progredito». Ma il deputato della destra è deciso quanto Rossomando a spingere per l’avvocato in Costituzione: «Un tentativo di dare rilevanza al difensore in modo da ricalibrare, anche agli occhi e nell’interesse dei cittadini, quello squilibrio che oggi vede il pm padrone dei processi. In attesa che il sistema venga ristrutturato con la separazione delle carriere, sarà già un passo avanti affermare nella Carta che l’avvocato non può essere considerato un fastidioso ammennicolo». Sisto è stato primattore nella stagione breve ma intensa delle riforme Cartabia, e vede una possibile continuità nella nuova legislatura a partire da un principio: «Non si deve pensare ai druidi o ai sacerdoti ma ai frequentatori della parrocchia, cioè i cittadini: e nel penale questo significa che la priorità è tutelare i non colpevoli, con una nuova riforma che disegni un giudice davvero terzo e imparziale». Ci si arriva con una separazione delle carriere «vera, decisa, dopo il passo avanti comunque compiuto con la separazione definitiva fra funzioni giudicanti e requirenti dopo i primi 9 anni di carriera. Ora dobbiamo convincerci che è necessario riconoscere formalmente la separazione culturale fra chi accusa e chi giudica».
IL RAPPORTO TRA POLITICA E PROFESSIONI
È un incontro in due tempi. Con il primo più concentrato sulla politica giudiziaria tout court, mentre nel secondo trova spazio l’invito di Masi a «occuparsi di un altro tema che ci sta molto a cuore: la necessità di fare chiarezza sulla natura giuridica degli Ordini. Si tratta di enti pubblici non economici, ma non è pensabile che si continui a pretendere da loro adempimenti e oneri tipici delle Pa». Seguono altri due assist. Il primo viene da Biino, tra i relatori in videocollegamento, che integra l’appello della presidente Cnf con una richiesta quasi filosofica: «Diteci se considerate ancora noi professionisti come un corpo intermedio. Se siamo per voi un collante rispetto al Paese. Quale considerazione avete di noi?». E poi c’è l’imbeccata di Sergio Paparo, che coordina l’Organismo congressuale forense e considera le assise dell’avvocatura in programma a Lecce dal 6 al’ 8 ottobre prossimi come «l’occasione per parlare di questioni emerse finalmente solo qui, in questo incontro». Tre spunti: «Se c’è una riforma ordinamentale urgente, ignorata dagli ultimi interventi, è l’attribuzione all’avvocatura di un ruolo di cogestione dei palazzi di giustizia, degli edifici, Non è possibile che chi come noi tiene ogni giorno in vita la giurisdizione sia trattato da ospite. Dobbiamo essere coinvolti nell’organizzazione degli uffici, a livello territoriale e ministeriale». Quindi, aggiunge il coordinatore Ocf, «funzionale a questo è l’accesso dell’avvocatura agli strumenti di intelligenza artificiale utili alla gestione organizzativa. Infine la giustizia complementare: che non vuol dire solo Adr, ma sportelli del cittadino e uffici di prossimità, articolazioni territoriali in cui gli avvocati possano alleggerire i tribunali per gli atti che riguardano processi monitori e volontaria giurisdizione». Ecco, Costa non esita a chiedere che, intanto, sulla «natura giuridica degli Ordini il legislatore faccia chiarezza». È d’accordo Delmastro: «Si tratta di una norma a costo zero, gli Ordini professionali non possono essere sommersi di adempimenti». Il responsabile Giustizia di FdI immagina però anche «un minimo di ammortizzatori sociali anche per gli autonomi. Non esistono lavoratori di serie A e di serie B». E il presidente dei notai Biino apprezza: «Spero che sarà questo l’approccio». Tocca a Urraro riprendere un altro tema che Masi suggerisce a inizio incontro: il carcere, la tragedia dei suicidi ignorata, «una ferita», ricorda la presidente del Cnf, «a cui dedicheremo una sessione del Congresso forense di Lecce». E il senatore della Lega si dimostra, anche un po’ a sorpresa, il più attento nel chiedere che «insieme alla certezza della pena si abbia a cuore il valore uomo: il sovraffollamento, la quota di 55mila detenuti di nuovo raggiunta nei nostri penitenziari è contro ogni principio di civiltà, e si deve intervenire innanzitutto sulla qualità della vita negli istituti». Lo ricorda anche Rossomando quando evoca «il lavoro della Commissione Ruotolo, da cui andrebbero tratti molti spunti». La vicepresidente del Senato mostra straordinario fair play quando, a proposito di equo compenso, riconosce «l’errore compiuto nei decreti di Bersani sulle liberalizzazioni, con cui vennero eliminate le tariffe». Ma poi con orgoglio rivendica che «la prima legge sull’equo compenso, preparata con l’ex presidente Cnf Andrea Mascherin, è stata firmata da Andrea Orlando». Sisto avverte come in modo più generale la nuova fase della giustizia orientata al Pnrr «dovrà evitare l’illusione che il processo possa essere reso più efficiente con il taglio delle ali delle garanzie». Non si può trascurare che in realtà qualche sacrificio del genere sia avvenuto anche nella riforma del processo civile: «Nella riforma», puntualizza Rossomando, «abbiamo cercato di accogliere le osservazioni dell’avvocatura sull’eccesso di preclusioni. Non tutto è passato, ma noi come Pd condividiamo quell’analisi». Basta si capisca una volta per tutte che gli alert del Foro sugli eccessi dell’efficientismo non sono un rivendicazione di categoria, ma un appello per la civiltà del diritto.