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Ci sono tante parole e idee che danno senso a un congresso forense. E nella sessione ulteriore delle proprie assise, l’avvocatura dimostra di essere un vulcano di proposte. Non deve meravigliarsene, perché una platea di 240mila iscritti così culturalmente elevata oggi non può essere esibita da altri, in Italia, certo non dai partiti politici. Eppure, nell’oceano di proposte e conflitti, uno scambio a distanza fra Maria Masi e Marta Cartabia condensa forse il significato più urgente della due giorni congressuale iniziata oggi all’Ergife di Roma: «Abbiamo sì apprezzato alcune parti della proposta Cartabia sul processo civile ma», avverte la presidente del Cnf, «resta il vulnus delle preclusioni che impongono al difensore di anticipare subito l’intera fase istruttoria: a cosa serve, di grazia, se poi il giudice rinvia tutto al 2023, come mi capita di vedere nella mia personale attività? A cosa serve il sacrificio che le riforme del processo impongono all’avvocato, se il magistrato non deve rispondere di nulla?». E all’interrogativo la ministra della Giustizia replica con un rilancio: «Non posso farcela senza di voi, le riforme hanno bisogno del contributo con cui voi riuscirete a farle vivere. E sappiate che quella richiesta di concentrare il rito introduttivo e anticipare l’istruttoria obbligherà anche il giudice a non rifugiarsi nella scorciatoia del rinvio. Ci sarà un equilibrio, vedrete», assicura dunque la guardasigilli. La scena si compie nella prima parte della lunga e impegnativa giornata di ieri. Durante i saluti istituzionali, che con Masi e Cartabia vedono sul palco della sconfinata sala “Leptis magna” anche il coordinatore dell’Ocf Giovanni Malinconico, il presidente di Cassa forense Walter Militi e il presidente del Coa di Roma Antonino Galletti. Il senso ultimo dei lavori di ieri è in quella domanda di Masi, e nell’allarme simmetrico di Malinconico sulla «avvocatura che nell’ultimo anno e mezzo ha ancor più sofferto gravi carenze economiche». Può essere, la professione forense, il sacrificio immolato sull’altare del Recovery? Possono trovarsi, i cittadini assistiti dai loro difensori, spiazzati da una macchina che pretende di andare più veloce e che però rischia di lasciarli a piedi? Malinconico, che parla subito dopo Masi, in tempi congressuali serrati, ricorda al pari della presidente Cnf che «la nostra non è un’invocazione corporativa: noi paliamo perché abbiamo tra le mani i diritti delle persone».E qui si viene allo snodo problematico delle assise, che forse potrà essere sciolto dal voto sulle mozioni previsto per domani: con un ruolo del genere, di custode dei diritti dei cittadini, l’avvocatura può davvero permettersi le divisioni a cui si assiste fin dalla prima delle tavole rotonde, relativa al Pnrr ma evolutasi subito in conflitto sull’ordinamento interno? Non sarebbe urgente piuttosto che la professione si vestisse subito del proprio «ruolo costituzionale», come lo definisce Masi, e vada a reclamarlo dalla politica? Non è forse l’unità nell’orgoglio identitario, la via maestra per chi deve «vigilare sul processo e sui diritti», per citare ancora il vertice del Consiglio nazionale? È qui il dilemma, subito ben risolto dal presidente dell’Ordine di Roma Galletti: tocca a lui, da padrone di casa, aprire i lavori, ricorda «le snervanti fatiche di noi difensori per le disfunzioni telematiche», ma rivolge soprattutto un invito: «Dalle assise, cari colleghi, dobbiamo uscire con proposte chiare e univoche, e dobbiamo individuare obiettivi plausibili, non velleitari». Parole in cui c’è già l’allarme sulla contraddizione fra quell’opportunità di “farsi sentire”, subordinata però alla coesione, e la tendenza alle divisioni. In un altro passaggio della mattinata altrettanto decisivo, Malinconico non si limita a ricordare «le gravi difficoltà economiche, da affrontare anche coi ministri dell’Economia e del Lavoro», ma fa anche notare come «un avvocato che non sia libero e indipendente sul piano economico è un problema per la democrazia, un’incrinatura nella tutela dei diritti». E qui si saldano le parole con cui Masi riflette sulle «tante energie spese dalle rappresentanze forensi negli ultimi mesi, anziché sui nostri problemi e la nostra condizione, innanzitutto sulle riforme della giustizia. Lo abbiamo fatto con responsabilità, ma adesso dedicherò le mie energie prima di ogni altra cosa a difendere i sogni di quei colleghi tentati dall’addio alla professione, spinti a cercare altro perché schiacciati dalla crisi». Difendere la condizione economica degli avvocati — «lo abbiamo fatto comunque con le proposte di modifica sull’equo compenso», dice la presidente del Cnf — è dunque funzionale ad assicurare il ruolo e il contributo politico della professione: essere indipendenti economicamente per poter davvero fare anche da custodi della democrazia. In fondo la sintesi del futuro può essere qui. Un’avvocatura non più schiacciata dalla crisi, per Malinconico, «può e deve entrare in un nuovo patto sulla giurisdizione, che sia basato anche sul diritto a esprimersi sulle performance della magistratura». Cenno implicito al voto nei Consigli giudiziari, perché, aggiunge il coordinatore Ocf, «solo noi possiamo attestare che in Corti d’appello come Roma le cause civili vanno al 2025». Tutto sta ad avere dalla platea congressuale indicazioni chiare: lo ricorda anche una figura solo indirettamente coinvolta nei conflitti come il presidente di Cassa forense Militi: «Però dateci un mandato chiaro», chiede alle assise, «ci sono tante opportunità con i fondi del Recovery, ad esempio per la piattaforma digitale unica: ma il Congresso indichi la strada da percorrere». Siamo sempre lì, a un’avvocatura chiamata a sottrarsi al destino di vittima sacrificale della nuova giustizia, ma che può farlo solo se trova il senso dell’unità.