Tristezza e commozione sono i sentimenti che hanno pervaso gli studi legali e le aule del Tribunale di Roma, dopo l’uccisione dell’avvocata Martina Scialdone. Una ripresa delle attività caratterizzata da tanti momenti di riflessione promossi dall’avvocatura capitolina, intenta in questi giorni a rieleggere i propri vertici. Diverse le iniziative intraprese. A partire da quella dell’associazione “Donne giuriste Italia”, presieduta da Irma Conti, che ha voluto dedicare un incontro di formazione proprio alla giovane professionista freddata con un colpo di pistola venerdì scorso.
La presidente del Consiglio nazionale forense, Mari Masi, sottolinea l’esigenza di combattere anche nei casi di femminicidio la piaga più insidiosa: l’indifferenza. «Non ci sono alternative – dice al Dubbio Maria Masi -, ma soprattutto non c'è più tempo o meglio non è più tempo di analisi statistiche o monitoraggi di buone prassi. Il fenomeno della violenza sulle donne in ambito familiare, lavorativo e sociale non è da considerarsi emergenziale. I fattori che la determinano sono tanti e certamente non temporanei o provvisori. Stiamo parlando di una vera e propria forma di terrorismo, inteso come uso discriminato e discriminante di violenza ai danni delle donne, di azioni criminali spesso perpetuate per giorni, mesi, anni, fino all'epilogo: l’assassinio che, purtroppo, rischia di non fare neppure più notizia».

La presidente del Consiglio nazionale forense non usa mezzi termini e parla, a proposito della violenza sulle donne, di una vera e propria guerra. «A differenza – commenta - di quanto ha animato l'opinione pubblica in altre tristissime stagioni e occasioni di lotta che il nostro paese ha conosciuto e combattuto, in questa guerra, perché di guerra si tratta, le donne e chi tenta di aiutarle, si pensi alle associazioni delle professioniste e ad alcune istituzioni, hanno la sensazione di essere isolate. Ciò avviene perché il nemico più grande è l'indifferenza generale e generalizzata». Di qui la proposta. «Per combattere e vincere questa guerra – aggiunge la presidente del Cnf - è necessario che lo Stato prima di tutto la affronti come ha saputo fare in un passato, anche recente, con altri fenomeni di violenza e criminalità, creando reti, mettendo a disposizione risorse, professionisti specializzati, operatori specializzati e, soprattutto, convincendosi che ad ogni femminicidio non muore solo una donna, ma ne è vittima sempre lo Stato-comunità. Come nel caso della nostra giovane collega, la quale culturalmente aveva tutti gli strumenti per difendersi eppure non è riuscita a salvarsi, perché nessuna può farlo da sola e perché questo nostro strano paese dovrebbe cominciare anche a riflettere e a rivedere le norme che regolano il possesso e la detenzione di armi con cui uomini criminali negano persino la pietà alle loro vittime. Esattamente come è accaduto all’avvocata Scialdone». Un’ultima riflessione la rappresentante dell’avvocatura istituzionale la rivolge a tutte le colleghe. «C’è da lavorare tanto su noi stesse – conclude -, sulla nostra autostima, sugli uomini maltrattanti, per evitare che si trasformino in criminali e in assassini, sui bambini prima che diventino orfani, sulle nuove generazioni esposte più di tutte al rischio di diventare vittima e su noi tutti portatori insani di indifferenza».
Le avvocate romane si sono strette attorno alla famiglia di Martina. «La numerosa partecipazione – afferma l’avvocata Irma Conti - all’iniziativa formativa dell’associazione “Donne giuriste Italia”, con l’appassionato impegno della presidente della sezione di Roma, Marina Marino, rappresenta l’indignazione per quanto accaduto e il nostro impegno nella lotta alla violenza sulla donna, dentro e fuori le aule di giustizia». Conti si sofferma su un punto in particolare. «Stiamo assistendo – afferma - ad un fenomeno strutturale, che va affrontato sotto il profilo penale interpretando gesti e condotte come violenza il cui circuito può essere interrotto solo con la denuncia. Se sai che un uomo è aggressivo e violento con la moglie o la fidanzata, non c’è situazione che tenga: è un criminale. Quando si superano certi limiti, si innesca il circuito della violenza. L’unico modo per interromperlo è la denuncia. Nel caso di Martina, il suo assassino è uscito di casa con in tasca una pistola. Non si è presentato al ristorante con un mazzo di rose o un anello. Dobbiamo dare un segnale forte alle donne e agli uomini. Le prime, se denunciano, devono avere la sicurezza di un intervento della magistratura. I secondi devono sapere che, in caso di reato, andranno incontro alla certezza della pena e al massimo della pena. Il nostro tessuto normativo è all’avanguardia, ma c’è un dato: sia le vittime che la società non colgono il fatto come reato. Sento parlare spesso di follia. Non è così. Siamo di fronte a dei criminali».
L’avvocata Raffaella Villa, presidente di Cammino, esprime «a nome delle socie e dei soci la vicinanza alla famiglia della vittima, e alle colleghe e ai colleghi che conoscono la brutalità della violenza, che ogni giorno si spendono con dedizione e coraggio per contrastarla».