«Siamo noi che pratichiamo la dialettica ogni giorno. Siamo noi gli unici in grado di insegnarne la pratica come soluzione dei conflitti». All’inizio di un intervento destinato a segnare non solo la presenza dell’avvocatura nel sistema italiano, ma il senso più compiuto dell’apporto che si può attendere dai corpi sociali, Andrea Mascherin chiede ai quasi duemila colleghi accolti nella chiesa di San Nicolò L’Arena di «fare un esercizio di autostima». E cioè, di «rivendicare il riconoscimento del nostro ruolo in Costituzione». La mozione, per inciso, passa per acclamazione, secondo un “articolato” che il presidente del Cnf sottopone alla fine del suo discorso inaugurale. Ma detta così, la giornata del Congresso forense di Catania non viene resa nella sua idea più vera. Perché Mascherin parla di autostima, ma intende sacrificio. Chiede un riconoscimento, ma allude a una vocazione. Anzi, a una missione che l’avvocatura ha da svolgere per evitare che «la conflittualità nel dibattito pubblico» e il «condizionamento della giurisdizione» continuino a condurre l’Italia per una «china pericolosissima», che prima poi «esploderà in un conflitto sociale violento».

E allora: nel discorso di Mascherin ci sono i frutti di quattro anni trascorsi al vertice del massimo organismo dell’avvocatura, c’è il linguaggio d’odio messo all’indice nel G7 di un anno fa, c’è la richiesta di una modifica in Costituzione che riconosca la liberà e l’indipendenza dell’avvocato, e che il guardasigilli Bonafede accoglie seppure in una forma prudente, c’è l’evocazione di una «giustizia che si pretende di far viaggiare come un treno ad alta velocità, che salti le stazioni delle garanzie». Ma c’è soprattutto l’investitura per l’intero ceto forense a non mediare solo nei processi, ma in una dialettica pubblica che altrimenti comprime le ragioni altrui e minaccia l’autonomia della giurisdizione.

I TRE COMMI PER L’ARTICOLO 111

Finisce con Bonafede che sente il bisogno di salire sul palco, mettersi di fianco al presidente del Cnf e ringraziarlo. Non che Mascherin abbia risparmiato critiche al guardasigilli né al governo. Ma il ministro della Giustizia si accorge evidentemente che avere come interlocutore un’avvocatura di questo genere è una garanzia di valore pari a quelle che il Congresso forense chiede di mettere in salvo. E sempre dalla fine del discorso inaugurale vale la pena di partire perché sia chiaro il progetto che gli avvocati chiedono a governo e parlamento di discutere: «Tre commi, che credo riassumano le diverse mozioni depositate e in attesa di essere discusse», annuncia il vertice del Cnf. «Innanzitutto il riconoscimento del ruolo dell’avvocato all’articolo 111, dove si definisce il processo, che è appunto il luogo di noi avvocati, in modo da fissare i timori di pubblicizzazione della nostra figura. Nel secondo comma riteniamo si debba sancire la riserva della difesa tecnica in capo all’avvocatura, giacché all’articolo 24 non è affatto scritto che a esercitare la difesa dobbiamo essere solo noi e già nel 2012, con la legge professionale, si tentò di far cadere tale riserva. Infine, un terzo comma dovrebbe mettere la libertà e l’indipendenza in relazione al nostro Codice deontologico, il che sancisce anche la funzione giurisdizionale interna in capo all’istituzione forense». È il “testo” approvato dai duemila congressisti per acclamazione, proprio mentre Bonafede è sul palco al fianco di Mascherin. Che scandisce: «L’obiettivo di veder riconosciuto il nostro ruolo sarà perseguito a tutti i costi da questa avvocatura. Che lo raggiungerà».

«I SOLI A INDIRIZZARE LA POLITICA»

Su questi tre cardini il presidente del Consiglio nazionale forense invoca «il sostegno della politica e della magistratura». Ma ci arriva con un discorso ampio, che mette in guardia dai rischi di veder compromessa l’autonomia della giurisdizione e, con questa, «la dialettica e il diritto come soluzione dei conflitti, quindi i principi stessi della nostra Carta». Ora, se questo pericolo c’è, c’è è anche un baluardo: «Siamo proprio noi avvocati», rivendica Mascherin nella parte rivolta, come detto, alla autostima della categoria. «Siamo noi a poter fare politica alta, a poter dare indirizzi alti alla politica». Ci si deve scontrare con la banalizzazione dei diritti, «con una deriva che vede persone prive di competenza occuparsi di vaccini come di politica giudiziaria». Persino la Costituzione, invece, «non è democratica, nel senso che non concede a tutti di occuparsi di ambiti come il nostro». Altro “titolo” rivendicato dal presidente del Cnf: «Le migliaia di avvocati che rischiano la vita ogni giorno i Paesi come la Turchia, la Polonia, l’Egitto». Il Cnf, ricorda Mascherin, «se ne occupa come parte di un’associazione internazione che difende gli avvocati in pericolo». Ma poi, alla fine, «perché proprio noi avvocati?». Perché, si chiede il vertice dell’avvocatura, «siamo proprio noi a poter indirizzare la politica e quindi a dover ottenere un riconoscimento di tale ruolo?». La risposta è nel «sentimento della difesa innato in noi, che consente di assumere ogni giorno battaglie anche impopolari: a differenza della politica non abbiamo bisogno di cercare consenso».

I RISCHI PER I PRINCÌPI E LA DEMOCRAZIA

E qui, ecco, si afferma quell’idea di avvocatura come missione in difesa di un sistema democratico altrimenti esposto a rischi gravissimi. «Noi invece dobbiamo affermare con forza i principi della Costituzione: uguaglianza, solidarietà, parità di diritti davanti al giudice, il diritto di difesa che è la massima espressione dello Stato di diritto, la centralità della persona». Quale custode dei principi, l’avvocato può finire anche in collisione con la politica. Mascherin non cita testualmente Salvini, ma nella sostanza lo chiama in causa: «Noi difendiamo gli ultimi, coloro che non hanno difesa, attraverso la difesa d’ufficio e il patrocinio a spese dello Stato: a esercitare le funzioni previste da tali istituti non è una lobby, ma una professione che così realizza la massima espressione del proprio ruolo». Uno degli applausi più forti arriva subito dopo, quando il presirende dente del Cnf ricorda che «Fulvio Croce fu assassinato perché scelse di difendere chi non voleva essere difeso».

Ma tocca domandarsi se adesso «la Costituzione, il ruolo della giurisdizione e di noi avvocati siano rispettati». Non è così. E il rischio è che sia sempre meno così: «Nella politica e nei dibattiti si assiste alla fine della dialettica e a una forma violenta di contrapposizione delle idee. Noi siamo baluardo contro questo linguaggio dell’odio». E anche dinanzi a una distorsione completa nei discorsi sulla giustizia: «Penso al caso del sindaco di Riace: vi pare possibile che politici e opinionisti si schierino semplicemente in ossequio alla loro forza di appartenenza, alla loro ideologia?». E soprattutto, con un riferimento ancora a Salvini: «Vi pare possibile che chi fino a ieri ha criticato la magistratura per alcuni provvedimenti ora la santifichi per l’ordinanza su Riace? ». Episodi simili attestano come «il fenomeno del condizionamento della giurisdizione rischi di portarci a un conflitto sociale che prima o poi esploderà violentemente».

«NOI E I MAGISTRATI SIAMO NEL MIRINO»

Sotto attacco ci sono gli avvocati come i magistrati. E a questi ultimi che Mascherin si rivolge, prima per dire che «la magistratura con cui dialoghiamo non è certo quella pronta ad additare noi come causa della lentezza dei processi». E qui il convitato di pietra è Davigo. «Noi riteniamo che la pretesa di riformare il processo solo in funzione del Pil, della velocità, pregiudichi l’autonomia della magistratura, Che noi abbiamo sempre difeso. Il punto è che non è mai avvenuto il contrario. Ora noi ci aspettiamo che la magistratura intervenga e dica ‘ giù le mani dagli avvocati perché senza di loro non c’è giurisdizione libera e autonoma’».

È una reciprocità necessaria, perché avvocati e magistrati sono insidiati «gli uni dalle minacce quando difendono imputati ai quali si ritiene che la difesa debba essere negata, e gli altri, i magistrati, se osano infliggere una condanna a 15 anziché a 30 anni. E se poi pronunciano una sentenza di non colpevolezza, parte dell’opinione pubblica li ritiene responsabili di un fallimento del processo, autori di un errore giudiziario, come qualche magistrato sostiene». Riecco Davigo. E lo spettro del processo mediatico, «che certo è velocissimo: due puntate e c’è già la sentenza, sempre di condanna ovviamente».

A partire da questo Mascherin noin fa sconti neppure al guardasigilli quando parla di «prescrizione infinita» verso cui alcune ipotesi di riforma parrebbero muoversi». Oppure quando osserva che «ai corrotti si può infliggere pure l’ergastolo, ma se non si libera il Paese dalla burocrazia, la corruzione sarà impossibile da sradicare». Non risparmia un allarme forte a proposito di «esclusioni dal diritto di difesa che evocano quelle previste dalle leggi razziali». Chiede che l’Antitrust, «dopo averci multato per un milione di euro perché abbiamo difeso la dignità dell’avvocatura, persegua ora le grandi imprese che se ne infischiano dell’equo compenso e sfruttano gli avvocati». E infine ricorda che solo l’avvocato libero e indipendente «può essere l’equilibratore dell’autonomia e indipendenza del magistrato, senza indebolirla» ; e come come stare in silenzio «esponga a essere colpiti prima o poi dalla violenza. Ma solo il libero roteare delle nostre toghe è in grado di far sentire quella voce che spezzerà il silenzio del diritto e della ragione».