La giustizia è un tema politico più di altri. Da sempre, ma forse ancor di più nelle ultime legislature, inclusa quella in corso. E così la comunicazione sulla politica giudiziaria reclama strumenti forti, efficaci. Un manifesto, per esempio, come quello approvato a larga maggioranza al Congresso nazionale forense celebrato a Roma nello scorso fine settimana. Un documento contenuto nella mozione presentata dall’Organismo congressuale forense, con il coordinatore Giovanni Malinconico primo firmatario. Si tratta di «un mandato programmatico organico e importante, che consentirà all’Organismo di articolare la propria interlocuzione politica sui temi strategici», spiega lo stesso Malinconico. La scelta della forma del “manifesto” non pare casuale, appunto, innanzitutto perché attesta già di per sé il rilievo dei principi espressi. E anche perché si tratta di un “veicolo di idee” che ha già mostrato di saper garantire coesione all’interno dell’avvocatura, ad esempio con il “Manifesto sulla giustizia penale liberale” attorno al quale, pochi mesi fa, Gian Domenico Caiazza ha costruito la propria elezione a presidente dell’Ucpi. Gli obiettivi indicati dalla “sessione ulteriore” delle assise forensi si intrecciano con due questioni centrali. Da una parte il riconoscimento in Costituzione del ruolo dell’avvocato, che proprio in coincidenza con i lavorio dell’Ergife ha fatto registrare un passo avanti, grazie alla presentazione in Senato del ddl, annunciata dal presidente della commissione Giustizia Andrea Ostellari. Dall’altra parte, due cardini richiamati dalla stessa mozione dell’Ocf, che senza i quali verrebbe meno la “effettività della tutela giurisdizionale” che ha dato il titolo alla sessione di Roma: la necessitò di evitare «discriminazioni di censo», recita il punto 4 del manifesto, e la «assoluta contrarietà alla spettacolarizzazione del processi penali», rivendicata sia tra le premesse della mozione che dal coordinatore Malinconico. l tema dell’accesso alla giustizia ha una dimensione enorme. «Anche nelle prime ipotesi di riforma del processo civile erano state inserite diverse previsioni dissuasive», spiega Malinconico. «L’Ocf ha partecipato ai tavoli aperti presso il ministero che sembravano andare nella giusta direzione, con l’accantonamento delle proposte più controverse e il concreto interesse suscitato da molte indicazioni dell’Ocf. Quel metodo del dialogo», prosegue il coordinatore dell’organismo, «sembra essere messo in discussione dalla scelta del guardasigilli Alfonso Bonafede di non intervenire al nostro congresso». Le valutazioni dell’avvocatura dipenderanno dalle azioni concrete del governo, anche sulla questione delicata della «sempre più grave carenza di risorse umane, strutturali e materiali che affligge la giustizia», nota ancora Malinconico, «e su questo urgono «risposte concrete e immediate». Ma anche «il contributo unificato rappresenta un ostacolo nell’accesso alla giustizia: il tema è presente sia nella mozione dell’Ocf che in quella presentata dall’Unione avvocati amministrativisti, necessaria a ricordare per esempio la situazione drammatica del costo dei ricorsi in materia di appalti». Ancora ieri Bonafede ha confermato l’impegno a potenziare innanzitutto gli organici del personale amministrativo, «un ampliamento di 3000 unità» possibile innanzitutto con lo scorrimento della graduatoria formata dopo l’ultimo concorso. A giugno si terranno le prove scritte per il nuovo concorso in magistratura, che dovrebbe dare concretezza all’ «ampliamento di 600 unità di magistrati rispetto alla pianta organica attuale» pure ricordato ieri dal ministro. Ma il terreno sul quale maggiori restano le distanze fra avvocati e maggioranza è quello della giustizia penale, come è emerso dai dibattito svolto nel corso delle assise di Roma. Malinconico parla di «produzione legislativa imponente che preoccupa perché si muove nel solco del giustizialismo e della riduzione delle tutele, in senso dunque opposto a quello tracciato al congresso». Il riferimento è agli interventi che vanno dalla «prescrizione» alla norma della spazza corrotti che impedisce l’accesso alle misure alternative per chi commette reati di corruzione, fino all’abolizione dell’abbreviato per i reati da ergastolo. Secondo l’Ocf l’origine di questa politica sul penale è nella «spettacolarizzazione mediatica, che alimenta il clima dell’odio e non può tradursi in metodo per le scelte legislative». Il tema della «effettività della tutela giurisdizionale» è strettamente incrociato, come detto, con quello del ruolo costituzionale dell’avvocato. Da giovedì scorso il ddl che riconosce tale ruolo è depositato a Palazzo Madama, firmato dai capigruppo di M5s e Lega, Patuanelli e Romeo. Il sostegno che, come ricordato al congresso dal presidente del Cnf Andrea Mascherin , «è espresso sia dalle forze di governo che dalle altre presenti in Parlamento», può essere l’occasione per riavvicinare politica e professione forense. Non a caso nella stessa mozione presentata da Malinconico insieme con altri 6 componenti dell’Ocf, i principi di quella proposta di legge costituzionale risuonano più volte. Al punto 7 del “manifesto” si ricorda che “la garanzia di autonomia e indipendenza dell’avvocato e di tutti i soggetti che concorrono all’esercizio della giurisdizione sono strumento di effettività della tutela dei diritti e presidio di democrazia». Lo ha ricordato più volte Mascherin, anche a proposito della garanzia che un’avvocatura libera rappresenta per gli stessi magistrati. I contenuti della riforma attesa dalla professione forense dunque ritornano sotto forma di manifesto programmatico. E l’obiettivo dell’Ocf è che si traducano anche nei contenuti delle riforme sul processo.