In un recente pronunciamento il Consiglio nazionale forense ha posto l'attenzione sul delicato equilibrio tra il diritto alla libertà di espressione e il dovere di lealtà verso le istituzioni giuridiche giudiziarie e forensi. La sentenza numero 57/2023 affronta un caso verificatosi nel distretto di Vibo Valentia, in cui un avvocato ha ricevuto una sanzione disciplinare in seguito a espressioni ritenute offensive nei confronti del sistema giudiziario e della magistratura locale, nonché dell’Ordine forense. Il procedimento disciplinare ha avuto origine da una richiesta di anticipazione di udienza presentata dall'avvocato, il quale ha adoperato un linguaggio controverso e provocatorio con l'intento di accelerare il procedimento legale. L'utilizzo dell'espressione «si confida nella giustizia (se ne esiste ancora un barlume!)» ha attirato l'attenzione del presidente del Tribunale di Vibo Valentia, il quale ha prontamente segnalato il caso al Consiglio dell'Ordine degli avvocati dello stesso distretto. La situazione si è ulteriormente complicata a causa del post pubblicato dall’avvocato sulla sua pagina Facebook e su un quotidiano locale, una volta attinto dalla richiesta di chiarimenti del Coa, in cui ha espresso forti critiche nei confronti del presidente del Tribunale e ha sollevato dubbi sulla correttezza del sistema giuridico locale. In particolare, sono state avanzate questioni riguardanti la tempestività delle decisioni giudiziarie e il comportamento dei magistrati. Di conseguenza il Coa di Vibo Valentia ha inflitto all'avvocato la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per la durata di due mesi.

Il Consiglio nazionale forense, nella decisione resa sull’impugnazione, ha sottolineato che la libertà di critica è un diritto fondamentale, ma deve essere esercitata con rispetto e correttezza nei confronti delle istituzioni giudiziarie. Le espressioni usate dall’avvocato sono state giudicate offensive e lesive dell'onorabilità della magistratura e degli ordini professionali. La sentenza enfatizza che l'obiettivo non è limitare la libertà di espressione, bensì promuovere un dialogo costruttivo volto al miglioramento dell'intero sistema legale. È stato evidenziato che, sebbene la recente depenalizzazione possa aver aperto spazi più ampi per la critica, questa deve ancora attenersi ai principi di rispetto e dignità reciproca. L'avvocato protagonista del caso ha cercato di difendere le sue azioni, affermando che mirava a esercitare il diritto di critica e che l'uso di espressioni provocatorie aveva lo scopo di stimolare il dibattito. Tuttavia, il Cnf ha ribadito l'importanza di adottare un approccio professionale e rispettoso verso le istituzioni giudiziarie e i colleghi. La sentenza ha altresì richiamato l'attenzione sul fatto che, pur essendo le piattaforme social luoghi di libero scambio di opinioni, non possono essere utilizzate come veicoli per espressioni offensive o dannose nei confronti dell'avvocatura e delle istituzioni giuridiche. Il Consiglio, in considerazione delle circostanze soggettive e oggettive in cui è avvenuta la violazione, di elementi significativi di carattere personale e familiare e dell'assenza di precedenti disciplinari, ha ridotto la sanzione, ritenendo appropriata quella della censura.