L’entrata in scena della prima donna presidente del Consiglio in Italia ha riportato alla ribalta il tema dell’equità di genere, non solo nella politica, nell’economia e nella società civile italiana, ma anche nell’avvocatura. Per comprendere se nell’avvocatura del nostro Paese ci sia un problema di equità di genere, occorre necessariamente analizzare i numeri più recenti dell’avvocatura, che sono riferiti al 2021, predisposti dalla Cassa Forense, e in particolare quelli sulla quota rosa nel mondo della professione forense, e sull’eventuale differenza tra il reddito medio degli avvocati uomini e quello delle loro colleghe donne. Prima di esaminare i dati relativi alla percentuale di avvocati di sesso femminile sul totale dei professionisti legali, vale la pena segnalare che il primo elemento che emerge dalle cifre riportate nelle 46 pagine del rapporto della Cassa forense, è che nel 2021 (ultimo anno per il quale sono disponibili i dati) si è registrato un inedito calo generale degli avvocati in Italia, o più precisamente, di quelli iscritti alla Cassa Forense (che sono passati dai 245.030 del 2020 ai 241.830 del 2021), un fatto tanto più sorprendente, visto che ininterrottamente dal 1985 (primo anno di cui vengono riportati i dati) gli avvocati sono costantemente aumentati in Italia, passando dai 37.495 del 1985, ai 245.030 del 2020, con un salto quantico nel 2014, quando si è passati dai 177.088 ai 223.842 (in un solo anno). È il caso di evidenziare che la popolazione italiana tra il 1985 e il 2021 non è cresciuta sensibilmente, visto che dai 56,6 milioni si è giunti a 59,1 milioni, e questo prova dunque un’indubbia attrattività della professione forense rispetto ad altri alternativi sbocchi lavorativi. In questo contesto, salta agli occhi che il 2021 è stato anche il primo anno in cui vi è stata l’interruzione del costante trend di avvicinamento del numero di legali donne a quello degli uomini, la cui quota sul totale dei professionisti legali era passata dal 9,2% del 1985 al 48% nel 2020, salvo poi ridursi, appunto, nel 2021 al 47,7% (quando vi erano 115.250 avvocate). Al di là comunque della riduzione di pochi decimi di punto nell’ultimo anno (2021), va detto che a partire dal 2014, la quota rosa nell’avvocatura ha oscillato tra il 47,1% e il 48%, e quindi non si può certo affermare che nella professione legale italiana vi sia un evidente gap di genere, almeno per quanto riguarda la numerosità delle donne rispetto agli uomini. Per sottolineare il trend di crescita della presenza femminile nell’avvocatura, il rapporto della Cassa forense offre a pagina 5  una visione grafica del tema della “Femminilizzazione della professione”, con la quale si evidenzia che mentre nel 1981 le donne costituivano solo il 7% dell’avvocatura, 20 anni dopo, ossia nel 2001, tale percentuale aveva già raggiunto quota 30%, per arrivare al 42% dopo 10 anni (2011), e per giungere infine, come già ricordato, al 48% nel 2021. Ma la sorpresa più interessante proviene dalla tabella di pag. 8, in cui si scopre che in realtà, considerando solo i professionisti non pensionati (sono 13.903 i legali pensionati, ma ancora attivi), il numero di avvocati donna a fine 2021 (113.255) era praticamente lo stesso dei professionisti uomini (114.672), mentre i pensionati attivi sono quasi esclusivamente uomini (11.908), e pochissime le donne (1.995). Che l’avvocatura sia una professione sempre più femminile lo conferma anche la tabella pubblicata alla pagina 7  del rapporto, che riporta i dati di iscrizioni e cancellazioni per i professionisti dei 2 generi a partire dal 2010. Qui, infatti, si scopre che le iscrizioni alla Cassa forense degli ultimi 12 anni (2010-2021) hanno visto prevalere sistematicamente le donne sugli uomini, in media di un 20-40% in più, fenomeno però che si ripete anche sul fronte delle cancellazioni, dove quelle delle donne sono tra il 50% e il 200% superiori a quelle degli uomini, circostanza che spiega poi perché, nonostante la sensibile maggiore numerosità delle rappresentanti del gentil sesso al momento dell’ingresso nella professione forense rispetto agli uomini, non abbia consentito a loro, finora, di superare numericamente i loro colleghi uomini. Meriterebbe un’indagine approfondita l’analisi delle ragioni per cui le donne abbandonano (presumibilmente per un limitato periodo di tempo) la professione molto più spesso che i loro colleghi maschi, ma non bisogna essere un premio Nobel per intuire che, almeno in grande misura, questa circostanza dovrebbe spiegarsi per la maternità, che è una condizione che certamente, almeno per alcune donne, può essere considerata, per lo meno per un certo periodo, non facilmente compatibile con un’impegnativa attività professionale. Sempre la tabella riportata a pag. 8 consente di fare un’ulteriore riflessione, ossia l’evoluzione della presenza delle donne nelle varie fasce di età della professione legale. Ebbene, ci si rende subito conto che a fine 2021, quando un cliente si metteva a cercare un avvocato, con un’età inferiore ai 50 anni, aveva più probabilità di trovare una professionista donna, piuttosto che un legale uomo. Non solo, ma gli avvocati con meno di 30 anni sono nati molto più spesso con un fiocco rosa, invece che azzurro (3.550 donne contro i 2.483 uomini), e lo stesso avviene anche nelle fasce di età compresa tra i 30 e i 34 anni (11.263 professioniste, contro 7.751 di genere maschile), e tra i 35 e i 39 anni (15.749 femmine, contro 11.418 maschi).Insomma, è chiaro che non solo la professione forense è ormai pienamente paritaria sul piano del genere, ma in prospettiva sarà sempre più rosa. Per contro, il gap di genere esiste, e si riscontra chiaramente sul fronte reddituale. Qui i dati elaborati dalla Cassa forense non lasciano adito ad interpretazioni alternative.Infatti, nel 2020, l’ultimo anno di cui la Cassa forense propone i dati, gli avvocati (non pensionati) hanno avuto in media un reddito Irpef di 50.508 euro, contro i 23.392 euro delle loro colleghe. Un rapporto superiore a 2 a 1 (ossia più del 100%).E va detto che il gap reddituale sorge con chiarezza nella fascia di età compresa tra 35 e 39 anni (guadagnando gli uomini 30.396 euro, contro i 17.079 delle donne), per continuare nelle fasce di età successive fino ai 69 anni, per poi ridursi parzialmente tra i 70 e i 74 anni. Dunque solo all’inizio della carriera (fino ai 34 anni di età), e alla fine di essa (dopo i 74 anni) non si registra un differenziale reddituale significativo (ad esempio, sotto i 30 anni, le donne guadagnano in media 12.241 euro, poco meno dei 14.698 euro degli uomini), che anzi diventa favorevole per le donne sopra i 74 anni (16.324 euro le femmine, 14.473 euro i maschi). La fascia di età in cui la differenza tra quanto guadagnano gli avvocati e le avvocatesse è quella tra i 55 e i 59 anni (69.694 euro i primi, 31.953 euro le seconde), ma va detto che un rapporto pari o superiore a 2 a 1 si registra in tutte le fasce d’età comprese tra i 40 e i 69 anni. In conclusione, se la parità di genere è stata ormai acquisita in termini di presenza femminile nella professione forense italiana, resta ancora molto da fare per ottenere un’effettiva equità economica tra i 2 generi di professionisti, e questo dovrebbe costituire un impegno per tutta l’avvocatura nei prossimi anni.