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Mai, come adesso, l’avvocatura ha parlato con una sola voce. E il grido, partito dagli Stati generali dell’Avvocatura, è uguale per tutti: nessuno può porre limiti all’attività difensiva. L’appello di Francesco Greco, presidente del Consiglio nazionale forense, ai colleghi non è caduto nel vuoto: spalleggiato dal coordinatore dell’Organismo congressuale forense Mario Scialla e dal presidente di Cassa Forense Valter Militi, il numero uno dell’avvocatura istituzionale ha raccolto attorno a sé tutte le associazioni, pronte a non cedere di fronte a qualsiasi opzione di ridimensionamento dell’articolo 24 della Costituzione da parte del governo. Un ridimensionamento che emerge, a chiare lettere, dalla bozza di decreto sulla sinteticità degli atti, che di fatto mira a racchiudere in un numero definito di battute la strategia difensiva degli avvocati. Instillando la convinzione, falsa, che sia proprio l’attività difensiva a dilatare in maniera abnorme i tempi dei processi. «I nostri assistiti - ha tuonato Greco - ci consegnano i loro diritti» e «non siamo disponibili a mediare nelle nostre scelte difensive».
A “giustificare” la politica, ha sottolineato Scialla, gli ultimatum lanciati dall’Europa. «Ma noi vogliamo dire ai politici - ha spiegato - che non devono tornare in Italia con diktat. Gli avvocati non sono più disposti a subire in nome della ragione di Stato». La bozza di decreto, ha evidenziato, presenta «passaggi eccessivi e irragionevoli», che rischiano di «svuotare di sostanza il diritto di accesso alla giustizia e il diritto alla difesa». La sinteticità è sempre stata un obiettivo degli avvocati, ma il rischio è quello di «ridurre il ragionamento» in un’ottica «robotica» della giustizia. «Noi avvocati - ha aggiunto - abbiamo il diritto di essere coinvolti quando si decide il nostro futuro. È una situazione pericolosa quella in cui rischiamo di rimanere bloccati». Da qui lo stato d’agitazione per una «illogica compressione del diritto di difesa». Per Militi, «se l’agenda della giustizia» continuerà a veder come reali protagonisti i magistrati distaccati che «governano il ministero», difficilmente i problemi verranno risolti. «Il mondo della giustizia è magistratocentrico - ha sottolineato - e dobbiamo invertire questa tendenza». Ad esempio rispolverando il tema della separazione delle carriere, ancora sottotraccia, a riprova della «debolezza della politica nei confronti dell’apparato» di via Arenula, che vede gli avvocati, come testimoniato dallo stesso Greco, come «controparte». «Le leggi, nel nostro Paese, vengono scritte dai magistrati - ha insistito Militi - e finché sarà così avremo un problema». E per aiutare il ministro Carlo Nordio a «vincere questa battaglia», ha aggiunto il presidente di Cassa Forense, è necessario l’intervento dell’avvocatura. Un tema, quello dei fuori ruolo, sul quale si è espresso anche Francesco Paolo Perchinunno, presidente di Aiga: via Arenula, ha detto, «è una struttura governata da magistrati» e il governo della giustizia è affidato a loro.
Per il presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano Antonino La Lumia, «il problema non è il limite dimensionale, ma rendere le parole chiare efficaci e comprensibili. Tutta l’avvocatura deve essere a fianco di un principio non negoziabile: il diritto di difesa». Anche perché il passaggio successivo, secondo Giampaolo Di Marco, presidente dell’Associazione nazionale forense, è che «l’atto che non rispetta quel regolamento» sulla sinteticità «venga scartato da un algoritmo», da un’intelligenza artificiale, che rischia di disumanizzare la giustizia. Da qui l’invito ai colleghi a provare ad offrire insieme «un modello del processo: sono stanco del fatto che siano i magistrati a darci le linee guida: non abbiamo bisogno di amministratori di sostegno».
Per Enzo Morrico, vicepresidente degli Avvocati giuslavoristi italiani, il regolamento approntato dal ministero rappresenta un «ulteriore tassello di una fase storica che vede l’introduzione di norme e regolamenti al processo civile che comprimono il diritto di difesa, il ruolo degli avvocati e la tutela dei cittadini. Da anni il legislatore punta sulla sfiducia a scapito dell’autonomia professionale dei legali e aumentando la possibile arbitrarietà delle decisioni dei magistrati». Una sfiducia che è frutto di un falso mito, come ha spiegato il presidente dell’Ordine degli avvocati di Roma Paolo Nesta: «L’Europa - ha sottolineato - non ci ha chiesto di limitare con la riforma il diritto di difesa, ma di definire con più celerità i processi. Cosa che non dipende dall’attività dilatoria degli avvocati, perché è questo il messaggio che si manda». E ciò in assenza, invece, di «termini perentori per i magistrati». Concetto ribadito da Dario Greco, presidente del Coa di Palermo. «L’Ufficio legislativo di via Arenula non ha idea di come funzioni la giustizia - ha evidenziato -. Noi, invece, non ci dormiamo la notte». Elisa Demma, presidente facente funzione del Movimento Forense, ha però sottolineato la pronta reazione dell’Ufficio di presidenza del Cnf alla lettera inviata dal ministero con la bozza di decreto. Una bozza che smentisce lo stesso ministero, che da un lato «contesta la sinteticità degli atti come scudo nel patrocinio a spese dello Stato» e dall’altro contesta «la prolissità». Una contraddizione alla quale l’avvocatura, ora, reagirà in maniera compatta.