L’omessa o tardiva comunicazione scritta al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati (Coa) dei propri recapiti professionali e dei successivi eventi modificativi costituisce un illecito disciplinare, sanzionato con la censura, secondo l’art. 70 del Codice Deontologico Forense. Sebbene le condizioni di salute psicofisica dell’incolpato non costituiscano di per sé una giustificazione per l’illecito disciplinare, possono influire sulla relativa sanzione disciplinare.

Questo richiamo è stato ribadito dal Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 269/2022, mediante la quale, pur confermando la responsabilità disciplinare dell’incolpato, ha deciso di rimodulare la sanzione in considerazione della patologia che lo affliggeva. In particolare, la sanzione sarebbe stata ridotta da una censura a un avvertimento.

I fatti

La vicenda ha avuto inizio nel 2012 con due denunce presentate presso il Coa di Roma. Nel 2015, il procedimento è stato trasferito al CDD di Roma, che nel febbraio 2016 ha approvato i capi di incolpazione, riguardanti l’omissione di emissione di documenti fiscali e l’omessa comunicazione scritta al Coa di Roma dei recapiti professionali.

Il CDD ha accertato che l’incolpato non aveva comunicato all’Ordine di Roma la modifica del suo indirizzo professionale, nonostante avesse sollevato la questione in una e-mail nel febbraio 2014. Il CDD ha anche evidenziato una raccomandata a mano inviata dall’avvocato nel maggio 2014, in cui si lamentava dell’indirizzo non aggiornato dell’incolpato. Nell'udienza del maggio 2018, il CDD di Roma ha dichiarato la prescrizione dell’azione disciplinare per il primo capo di incolpazione, mentre per il secondo capo ha ritenuto integrata la condotta contestata e ha inflitto la sanzione disciplinare della censura.

L'avvocato ricorrente ha impugnato la decisione del CDD innanzi al Cnf. Nel ricorso, ha sostenuto che non gli era mai stato contestato il secondo capo di incolpazione e che l’omissione della comunicazione al Coa di Roma era giustificata dalla sua grave malattia che gli impediva di lavorare.

La sentenza

La decisione del Cnf ha portato a una riformulazione della sanzione imposta, tenendo conto della condizione di salute dell’imputato. Nonostante i motivi addotti da questi siano stati considerati infondati, il Consiglio ha preso in considerazione la patologia di cui l’imputato soffre e ha deciso di riformulare la sanzione. Nella motivazione della sentenza, si è sottolineato che le prime obiezioni presentate dall’imputato non hanno alcun merito, poiché nel fascicolo disciplinare sono emerse prove a sostegno dell’accusa. Inoltre, il Consiglio ha stabilito che le condizioni psicofisiche dell’imputato non possono costituire una giustificazione per l’illecito deontologico. In base al Codice Deontologico Forense, è stata comminata la sanzione edittale dell’avvertimento.