Il Consiglio Nazionale Forense ha recentemente richiamato l'attenzione sull'importante articolo 48 che proibisce categoricamente la produzione o la presentazione in tribunale di qualsiasi forma di corrispondenza chiaramente qualificata come riservata, indipendentemente dal suo contenuto. La norma si applica anche alle comunicazioni che includono proposte transattive scambiate tra colleghi, indipendentemente dalla presenza di una clausola di riservatezza.L’enunciato tra origine da una sentenza riguardante un caso disciplinare tra due avvocati. L'avvocato ricorrente è accusato di aver prodotto in un procedimento legale una e-mail contenente una proposta di transazione tra le parti coinvolte. Inoltre, è accusato di aver consegnato alla sua cliente una lettera riservata inviata dall'avvocato avversario. Dopo l'istruttoria, il Collegio di Disciplina ha ritenuto provati entrambi i fatti contestati e ha sanzionato l'avvocato con una censura. La ricorrente ha presentato un appello contestando la decisione del Collegio.

Il CNF nella sentenza n. 20 del 2023 ha ribadito il ruolo cruciale dell’art.48. Secondo il Consiglio, questa disposizione mira a preservare l'integrità dell'attività professionale degli avvocati e, salvo alcune eccezioni espressamente previste, persino prevale sul dovere di difesa.

La ratio alla base dell'art. 48 è chiara: garantire agli avvocati la possibilità di comunicare per iscritto con i colleghi della controparte senza il timore che le affermazioni contenute in tali corrispondenze possano essere utilizzate contro il proprio assistito, sia attraverso la presentazione formale della corrispondenza stessa, sia tramite il semplice riferimento ad essa. Questo divieto mira a preservare l'integrità delle parti assistite, consentendo agli avvocati di intrattenere una comunicazione franca e aperta tra di loro, senza preoccupazioni riguardo a possibili conseguenze dannose per i loro clienti.

È importante sottolineare che questa garanzia è estesa solo alla corrispondenza scambiata esclusivamente tra colleghi. Pertanto, il divieto deontologico non si applica quando la corrispondenza è indirizzata anche a terzi, come nel caso in cui sia destinata anche al cliente dell'avvocato. In questi casi, indipendentemente dall'utilizzo della formula "riservata personale", il contenuto della corrispondenza deve essere considerato pubblico.

Il CNF sottolinea che questa limitazione sulla produzione della corrispondenza riservata tra avvocati è essenziale per preservare la possibilità di iniziativa conciliativa, che rappresenta una delle caratteristiche distintive dell'attività professionale. Senza questa garanzia di riservatezza, la libertà di comunicazione e di scambio di informazioni tra gli avvocati potrebbe essere compromessa, influenzando negativamente la ricerca di soluzioni conciliative.