In Afghanistan l’avvocata Raana Habibi, oggi 38enne, svolgeva un lavoro complicatissimo: si occupava di diritti umani, in particolare quelli delle donne che assisteva nelle cause per violenze domestiche.

Era in prima linea contro la piaga dei matrimoni forzati, molto frequenti nelle aree tribali del paese e aveva fondato un’associazione per combattere il fenomeno. Habibi è anche un’intellettuale importante, una giurista che insegnava diritto all’università di Herat, la sua città natale, durante la faticosa e mai compiuta fase di transizione democratica per costruire lo stato di diritto.

Come per tutte le sue concittadine, nell’agosto 2021 il mondo le è crollato letteralmente addosso: a vent’anni esatti dalla caduta del mullah Omar cacciato a suon di bombe dalla coalizione angloamericana, i talebani riprendono infatti il potere marciando trionfalmente su Kabul, senza incontrare alcuna resistenza. Le forze straniere se ne erano andate via e i soldati governativi si sono semplicemente rifiutati di combattere.

Se inizialmente i nuovi padroni dell’Afghanistan hanno mostrato un volto moderato, assicurando che non avrebbero colpito i diritti delle donne, in poche settimane è scattata la repressione, feroce. E una figura come quella di Ranna Habibi, una donna colta e indipendente che da sempre lotta contro il sistema di valori incarnato dai talebani, è finita logicamente nel mirino del regime, subendo ripetute minacce di morte.

Spulciando nel database del Afghan Independent Bar Association (AIBA) fondato nel 2008 per garantire l’indipendenza degli ordini forensi, che hanno occupato militarmente, gli “studenti di teologia” hanno avuto accesso a tutte le informazioni personali sui legali, le loro famiglie e i loro clienti, individuando chi colpire. E imponendo a tutti i professionisti una nuova licenza per avere il diritto di continuare a lavorare, un modo subdolo per poterli schedare e controllare tutti. Va da sé che le donne sono state completamente esautorate dalla professione, private dell’esame di Stato per l’abilitazione e bandite dagli uffici del ministero di giustizia.

Tre mesi dopo la caduta di Kabul i talebani hanno messo a capo dell’AIBA un esponente vicino al ministero, trasformandolo di fatto in un’appendice del governo. Da allora 17 avvocati sono stati assassinati e oltre 170 sbattuti in prigione. Il cerchio si sta chiudendo con il recente annuncio da parte dei talebani di afre della sharia (la legge coranica) l’unica fonte legittima del diritto.

Habibi è riuscita miracolosamente a scappare dall’inferno con suo marito Mustafà, medico e cineasta, e i due figli adolescenti di 11 e 13 anni. a Herat ha lasciato le sue radici, il suo lavoro, i suoi amici e soprattutto la speranza in un futuro per il suo Paese.

Oggi vive in Francia, accolta a braccia aperte dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Bordeaux. Che si sono mobilitati per lei, trovandole un appartamento, offrendole dei corsi di lingua francese e permettendole di iscriversi all’albo.

Non si tratta di una decisione “pietosa” o di semplice solidarietà internazionalista, le conoscenze l’intelligenza e la specializzazione di Habibi nelle violenze familiari «sono una risorsa preziosa anche per l’avvocatura francese», spiega la presidente Christine Maze, anche lei specializzata in abusi sulle donne e femminicidi.

Intervistata dalla tv pubblica, Habibi racconta la sua piccola Odissea, lo sconforto di aver visto il suo Paese precipitare di nuovo nel medioevo, e la volontà di impegnarsi perché le afghana possano un giorno tornare protagoniste della vita pubblica: «I talebani hanno dichiarato guerra alle donne, le perseguitano, decidendo come devono vestirsi e impedendo loro di avere un’istruzione. Io mi ritengo fortunata perché qui mi hanno accolta come se fossi un membro della loro famiglia, mentre tante mie colleghe e tanti miei colleghi non hanno potuto fuggire dall’Afghanistan rimando in balìa della repressione, che li ha costretti a nascondersi, a trovare un altro e mestiere e a volte a cambiare identità. Penso inoltre ai milioni di minori, oggi del tutto privi di tutela. Io, nel mio piccolo, cercherò di vivere con fierezza e felicità».