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Un tunnel buio, costellato di nomi. E in fondo un momento di luce, un lampo tinto di arancione, il colore scelto dalle nazioni unite per simboleggiare la violenza contro le donne. È l’installazione che sarà possibile visitare sabato prossimo in piazza dell’orologio a Roma, davanti alla sede amministrativa del Consiglio nazionale forense, la cui Commissione pari opportunità ha promosso l’iniziativa insieme alla Fondazione dell’avvocatura italiana (Fai).
Il progetto nasce da un’idea di Vittorio Minervini, consigliere del Cnf e vicepresidente della Fai, che in occasione del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ha voluto proporre insieme alla consigliera Lucia Secchi Tarugi, coordinatrice della Commissione pari opportunità del Cnf, qualcosa di innovativo che potesse veicolare un messaggio di grande impatto emotivo.
«L’obiettivo è sollecitare un momento di introspezione, qualche minuto di raccoglimento per meditare sul numero di femminicidi registrati nell’ultimo anno andando oltre il dato di cronaca e il marasma di informazioni che non lasciano spazio alla riflessione», spiega Minervini. Chiunque avrà la possibilità di «essere chiuso in questo spazio nero» e di attraversare una galleria di nomi, ognuno dei quali evoca una storia e un tragico epilogo. Sono le vittime di femminicidio che il nostro paese conta dal novembre 2022 ad oggi, volti e nomi che non possiamo dimenticare, e che devono essere di monito affinché non accada mai più. Le loro vicende sono raccolte in un piccolo volume che sarà messo a disposizione di chiunque decida di partecipare, spiega ancora Minervini, che ha in mente una parola in particolare per raccontare questa iniziativa: amore.
«L’amore come declinazione positiva di tutte le cose che fanno parte della vita – sottolinea -, un termine troppo spesso banalizzato, e che bisogna invece valorizzare e rimettere al centro della nostra convivenza civile». Lo stesso titolo dell’installazione – “No aMore” – si basa su un gioco di parole, che qui acquisisce una doppia lettura: è il grido “No More”, mai più, e “no Amore”, cioè l’amore che non ha nulla a che vedere con la violenza, come ha sottolineato anche Gino Cecchettin, papà di Giulia, la ragazza di 22 anni per la cui morte è accusato l’ex fidanzato Filippo Turetta.
«Si tratta di un terribile equivoco – ribadisce il vicepresidente Fai -. Affidarsi a qualcuno che dice di amarti può rivelarsi molto pericoloso». «Ma è soltanto l’amore, nel suo significato più profondo – prosegue - che può aiutarci a superare l’odio e l’indifferenza nei confronti dell’altro». Un’urgenza culturale, dunque, la cui soluzione non può essere risolta in una politica repressiva. A questo proposito, in relazione al disegno di legge anti femminicidio approvato ieri in Senato, Minervini ribadisce ancora una volta che la corsa a pene più dure non basta. Anzi, non serve: «Le grida manzoniane non portano mai a niente. Basta pensare che molti femminicidi si concludono con il suicidio di chi l’ha commesso, per rendersi conto che la pena non è un deterrente», riflette Minervini. Il quale riporta l’attenzione «sul ruolo della scuola, che deve recuperare la sua funzione educativa per essere di supporto alle famiglie. L’obiettivo è rimettere al centro il concetto di persona, educando i ragazzi al rispetto dell’altro».
In questo gli operatori del diritto possono e devono essere grandi alleati, aumentando la propria presenza nella società, sottolinea Minervini. Che ha in mente un programma preciso per la Fai, «la cui aspirazione è di interpretare la parte culturale dell’avvocatura». Anche per ciò che riguarda la funzione dei giuristi nel dibattito sulle garanzie costituzionali da sottrarre a quel clima mediatico richiamato anche dal procuratore di Venezia Bruno Cherchi a proposito del caso Cecchettin, e che troppo spesso finisce per inquinare l’amministrazione della giustizia.
«Dobbiamo sempre mantenere la barra al centro. La nostra forza, la forza dello Stato di diritto, è di garantire a tutti un giusto processo a chiunque», dice Minervini. Che ha una visione precisa anche per ciò che riguarda l’impegno dell’avvocatura sul piano internazionale: l’idea è di tessere un legame tra la Giornata del 25 novembre e quella del 24 gennaio, dedicata agli avvocati in pericolo. E in particolare, quest’anno, alla legale iraniana Nasrin Sotoudeh. «Gli avvocati non sono mai in pericolo per motivi propri, ma perché si mettono in primo piano per difendere i diritti altrui – chiosa Minervini. Penso ai legali turchi, che difendono i colleghi che lottano per la libertà. E penso a Nasrin, massimo esempio della liberazione femminile e volto di tutte le donne che stanno lottando per la tutela dei diritti umani».