In una recente sentenza del Consiglio nazionale forense è emerso un chiarimento importante riguardo agli illeciti deontologici e alla determinazione delle relative sanzioni disciplinari. La sentenza n. 44/2023 ha sottolineato che tali illeciti possono anche essere "tentati" e non necessariamente "consumati", aprendo la strada a una nuova interpretazione delle regole deontologiche degli avvocati.

Tale chiarimento è emerso in risposta al ricorso in riassunzione presentato da un avvocato dopo che la Cassazione aveva cassato con rinvio la decisione che rideterminava la sanzione del legale, passando dalla cancellazione alla sospensione per due anni.

Il caso, oggetto di controversia da diversi anni, riguardava l'avvocato, coinvolto in una serie di comportamenti illeciti durante gli esami di abilitazione alla professione di avvocato per l'anno 2010. Il Cnf aveva originariamente inflitto la sanzione disciplinare della cancellazione dall'albo in base alle gravissime violazioni degli articoli 5, 6, 10 e 56 del vecchio Codice deontologico forense, tra cui la probità, la dignità, il decoro, la lealtà, la correttezza e l'indipendenza, nonché i rapporti con terzi.

Il punto cruciale della sentenza del Cnf è stato il chiarimento sulla natura degli illeciti deontologici, affermando che in ambito disciplinare non è necessario che l'illecito venga portato a termine, ma è sufficiente il solo tentativo. La potenzialità della condotta è ritenuta idonea a configurare l'illecito deontologicamente rilevante, anche se non si è consumato completamente.

Dopo un lungo iter processuale, il Cnf aveva rideterminato la sanzione passando dalla cancellazione alla sospensione per due anni. Tuttavia, l’avvocato aveva presentato un ricorso in riassunzione alla Cassazione, contestando la misura della sanzione.

La Corte di Cassazione, richiamando l'art. 65, comma 5 della Legge 247/2012, che sancisce il criterio del favor rei, aveva cassato con rinvio la decisione del Cnf, chiedendo una riqualificazione della condotta ascritta e una determinazione della sanzione alla luce della disciplina sopravvenuta. Questo approccio ha imposto al Cnf di valutare attentamente i trattamenti sanzionatori in concreto, confrontando la disciplina previgente con quella sopravvenuta, e tenendo conto del periodo di fatto occorrente al cancellato per richiedere la reiscrizione.

La sentenza della Cassazione ha accolto solo in parte il ricorso, limitatamente al quarto motivo riguardante la misura della sanzione. Gli altri capi della decisione sono stati confermati.

Infine, il Cnf ha deciso che, considerando la violazione più grave tra quelle contestate, ovvero l'art. 72 Cdf (sanzionata con sospensione da due a sei mesi, estesa fino a tre anni in misura aggravata), oltre al comportamento complessivo dell'avvocato e alle circostanze soggettive e oggettive, la sanzione appropriata è di un anno e quattro mesi di sospensione, periodo che l'avvocato ha già scontato.