Ci sono uomini che la Storia dimentica troppo in fretta, e altri che la storia non può permettersi di dimenticare. L’avvocato Ugo Baglivo appartiene a entrambe le categorie. Giurista, intellettuale vicino al partito d’azione e liberale convinto, allievo del filosofo e politologo del filosofo Guido De Ruggiero, Baglivo ha subito la persecuzione del regime fascista che osteggiava apertamente.

Allontanato dal mondo accademico, spedito al confino, dopo l’armistizio raggiunge la resistenza nelle formazioni di Giustizia e libertà, operando nella Roma cupa e tumultuosa della Gestapo di Herbert Kappler e degli attentati partigiani, conclude la sua vita a soli 34 anni nel martirio delle Fosse Ardeatine.

Nato nel 1910 ad Alessano, un piccolo paese nel cuore del Salento che riposa tra gli ulivi secolari e l’azzurro ostinato del mare, la sua giovinezza coincide con l’ascesa del fascismo e la dissoluzione dello Stato democratico. Diventare avvocato non è una semplice scelta professionale o economica, ma un atto di fede civile, anche in quel sistema totalitario che ogni giorno si mangia spazi di libertà. Baglivo vede nel diritto non uno strumento del potere, ma una barriera contro l’arbitrio, un rifugio per chi non ha voce e non può difendersi.

Dopo il diploma conseguito al liceo Palmieri di Lecce nel 1927, si trasferisce a Roma, dove si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza presso l’Università La Sapienza. È un giovane brillante, riflessivo e rigoroso: si laurea a soli vent’anni con il massimo dei voti. Inizia subito la carriera accademica, dedicandosi alla ricerca e alla didattica presso la Cattedra di Diritto Penale, e completa la sua formazione con un corso di perfezionamento in Germania. Tornato in Italia lavora come assistente universitario alla Sapienza.

Siamo negli anni 30, in Italia imperversa il culto della personalità per il Duce, il clima politico è asfissiante e Baglivo non nasconde la sua insofferenza. Nel 1935 viene denunciato da un collega per “attività antinazionale”, e da quel momento comincia il suo calvario. Nel 1938 è condannato a tre anni di confino a Gioiosa Ionica, in Calabria. Vi rimane per un solo anno, ma le conseguenze si fecero sentire anche sulla sua famiglia, che perse la concessione governativa per la coltivazione del tabacco nel Salento.

Dopo la caduta di Mussolini per mano del Gran Consiglio e la fuga del Re in Puglia Baglivo partecipa alla battaglia di Roma dell’ 8-10 settembre 1943 affiancando quel che restava dell’esercito regio nello scontro impari ed eroico con le divisioni corazzate della Wehrmacht. Inizia la feroce occupazione tedesca della capitale. Viene arrestato dalla Gestapo cinque mesi dopo, il 3 marzo del 1944 insieme ai compagni Giuseppe Vegas e Donato Bendicenti, e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli.

Il 24 marzo dopo l’attentato partigiano di via Rasella contro un reparto tedesco, le autorità naziste ordinarono una delle rappresaglie più spietate della Seconda guerra mondiale. 335 prigionieri politici, partigiani, ebrei e civili sono condotti in una cava alla periferia sud di Roma, le Fosse Ardeatine, e fucilati in gruppi di cinque, con un colpo alla nuca. Ugo Baglivo era uno di loro. Il suo corpo è sepolto tra le rocce, ma la sua memoria non si è mai spenta.

Oggi, il suo nome è inciso su una lastra di pietra tra gli altri martiri, ma pochi conoscono la sua storia. Non ci sono film su di lui, né romanzi o piazze a lui dedicate. Eppure, il suo esempio vive ogni volta che un avvocato difende i diritti di chi non ha potere.

Baglivo non è morto per un ideale astratto, ma per un principio concreto: che la giustizia è tale solo se è per tutti. E che la libertà, come il diritto, non può esistere senza il coraggio tutto umano. Non era un sovversivo o un rivoluzionario ma un uomo mite costretto dalla sua coscienza a lottare per gli ideali democratici, questa la sostanza del suo antifascismo. Quella toga, oggi, è diventata bandiera. La sua vita, una lezione. Il suo sacrificio, un esempio.

Ricordarlo non è solo un atto di memoria: è un dovere verso la democrazia. Perché finché ci sarà un giudice che resiste ai soprusi, un avvocato che difende i più deboli, un cittadino che non chiude gli occhi davanti all’ingiustizia, Baglivo continuerà a vivere.