Come ogni anno, il 24 gennaio è giornata dedicata agli avvocati minacciati e in pericolo. Quest’anno, il focus è sulla situazione degli avvocati afghani e certo è necessario mantenere l’attenzione e stargli vicino in una situazione per loro, ma non solo per loro, così difficile e pericolosa.

Da quando i Talebani hanno preso il potere ed il governo del paese, nell’agosto 2021, i diritti fondamentali – nonostante alcune generiche promesse iniziali assolutamente non mantenute – sono andati affievolendosi per poi spegnersi quasi completamente.

E’ successo così per i diritti delle donne, prima espulse dall’università, poi dalle scuole superiori, poi dalla più gran parte dei lavori pubblici, ora anche dall’affiancare le poche ONG straniere che operano nel territorio afghano. In pratica, specie al di fuori delle grandi città: chiuse in casa.

Ma vi è un altro settore che è stato decimato quanto a diritti ed anzi è stato minato dalle fondamenta: quello della giustizia e della sua amministrazione, vale a dire giudici, procuratori e avvocati.

Se fra i giudici ne sono stati licenziati circa 2000; se è vero che 270 donne giudice nel regime precedente e 400 procuratrici sono state allontanate, sono gli avvocati ad avere pagato lo scotto maggiore.

Si è partiti dalle premesse: la costituzione del 2004 è stata di fatto abrogata e ad un sistema di giustizia laica è stata sostituita la giustizia islamica, la Sharia.

Alla AIBA ( Afghan Independent Bar Association - Associazione Indipendente degli Avvocati Afghani) con un decreto ministeriale del novembre 2021 è stata tolta l’indipendenza e con essa il potere di riconoscere gli avvocati.

La sua sede è stata devastata, i suoi fondi e beni requisiti, il database è stato portato via, venendo così i Talebani a conoscenza nel dettaglio dei nomi, delle abitazioni e soprattutto dell’attività di ogni singolo avvocato.

Da allora, per gli avvocati che non si siano sottomessi chiedendo al governo una nuova licenza professionale, che viene rilasciata solo sulla base di ciò che si è fatto e non fatto durante il governo precedente e soprattutto sulla base della conoscenza ferrata della Sharia, la nuova licenza viene negata.

Chi magari per anni si era impegnato sul fronte dei diritti umani, meglio non faccia nemmeno domanda. Meglio, se può, che si rifugi all’estero o che cambi indirizzo il più spesso possibile, nascondendosi con tutta la famiglia.

Riporta l’AIBA (che si va ricostituendo in esilio, ad Amsterdam) che da quel novembre 2021 sette avvocati sono stati uccisi e 146 sono stati arrestati o sono sotto processo.

Gli avvocati, poi, al pari di giudici e procuratori, sono nel mirino specifico anche delle migliaia di talebani che nel ventennio precedente erano stati condannati per violazioni dei diritti umani e sono stati immediatamente liberati dai talebani al governo.

Si contano sulle dita gli avvocati che sono riusciti ad uscire dal paese e trovare rifugio all’estero: anche per costoro la vita è durissima, fatta di permessi temporanei che non consentono di progettare una vita futura, assai spesso di lontananza dalla famiglia, in genere di difficoltà economiche non secondarie, per chi è privato del lavoro e deve contare solo sul sostegno dei colleghi esteri o di qualche organizzazione umanitaria.

Per chi è rimasto nel paese, come già si è detto, non si parli di continuare il proprio lavoro nell’indipendenza necessaria ad ogni avvocato: non resta loro che nascondersi, cambiare identità e lavoro. Se si è donna, poi, le cose vanno ancor peggio perché quasi tutti i lavori sono preclusi. E magari si trattava di brillantissime avvocate - che costituivano il 25% del numero complessivo degli iscritti all’albo – che da molti anni si battevano per un avvenire migliore per ogni donna afghana, e quindi per tutto il loro paese.