Abbiamo atteso alcuni giorni prima di esprimere il nostro pensiero sui contenuti della conferenza stampa della scorsa settimana, con cui la Procura della Repubblica di Milano ha comunicato il fermo di Alessandro Impagnatiello per l’omicidio di Giulia Tramontano e, più in generale, sulla rappresentazione che i media, con cadenza quotidiana, stanno facendo di quella tragica vicenda.

La necessità di riflettere senza essere condizionati dai tempi della cronaca giudiziaria e dalle semplificazioni che non di rado la caratterizzano, nonché il riserbo, finanche il pudore, di fronte alla sofferenza che la morte violenta di una persona reca con sé, ci hanno indotto a tale attesa.

Trascorsi alcuni giorni, però, dobbiamo evidenziare come le modalità e i contenuti della conferenza stampa - se non addirittura la stessa scelta di quel mezzo in luogo di un comunicato - siano per noi antitetici rispetto allo spirito del D. Lgs. 188/2021 e, più in generale, in contrasto con la necessità di evitare condizionamenti dei giudici chiamati a valutare la correttezza, sotto tutti i profili, della ricostruzione accusatoria. Né, crediamo, la gravità dei fatti, l’emozione che la morte violenta di una persona comporta, la volontà di rassicurare l’opinione pubblica sulla capacità di risposta del sistema giudiziario, giustificano lo scostamento da quei principi posti a tutela non solo del presunto innocente, ma anche degli altri soggetti coinvolti dall’indagine.

Da anni denunciamo le degenerazioni del processo mediatico, l’arretramento della cultura delle garanzie che consegue alla spettacolarizzazione delle indagini e i pericoli legati alla ricerca del consenso da parte di chi le conduce o dirige. La presenza in prima serata a trasmissioni televisive da parte di chi ha un ruolo diretto nelle indagini, quando le stesse sono ancora in corso, con apprezzamenti perentori su responsabilità e qualità personali dell’indagato è una rappresentazione plastica di quel fenomeno.

Ci siamo chiesti quale necessità vi fosse - nella prospettiva delle esigenze investigative o dell’interesse pubblico, che sole giustificano la diffusione di informazioni sui procedimenti penali - di soffermarsi su particolari e circostanze, anche di dettaglio, ancora oggetto di approfondimento. Ci siamo domandati come si giustificassero, dopo soli pochi giorni e in assenza di qualsiasi contraddittorio e vaglio giudiziale, affermazioni tanto perentorie su aspetti decisivi rispetto alla responsabilità dell’indagato (come, ad esempio, sul tema della premeditazione, poi esclusa dal GIP).

Riteniamo che il tema di una corretta informazione giudiziaria sia centrale e che tutti gli attori coinvolti – giornalisti, magistrati e avvocati – debbano e possano fare la loro parte; per questo crediamo sia necessaria la costruzione di un percorso condiviso, prima ancora che tecnico culturale, con chi detiene le informazioni e con chi è chiamato ad esercitare il diritto di cronaca.

Su questo ci impegneremo, ma saremo altrettanto determinati nel denunciare e contrastare ogni tentativo di riproporre processi mediatici in spregio alle regole, ora anche contenute in un testo normativo, poste a tutela del principio di non colpevolezza.

Camera penale di Milano