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Nasrin Sotoudeh
Dal Consiglio nazionale forense agli avvocati progressisti turchi, passando da New York, Sudafrica, Canada e mezza Europa. I giuristi di tutto il mondo - avvocati e magistrati - riuniti in oltre trenta organizzazioni internazionali si stringono attorno all’avvocata per i diritti umani Nasrin Sotoudeh, aderendo ad una call for action indirizzata alle Nazioni unite, al Consiglio d’Europa, alla Commissione e al Parlamento d’Europa chiedendo al Governo italiano e alle Istituzioni europee un intervento urgente per il rispetto dei diritti umani in Iran e per il rilascio immediato dell’attivista, arrestata arbitrariamente domenica scorsa al funerale di Armita Garavand, la 16enne finita in coma dopo le botte della polizia morale per non aver indossato l’hijab.
«Le autorità iraniane devono liberare immediatamente e incondizionatamente Nasrin Sotoudeh, far cadere tutte le accuse contro di lei e smettere di perseguitarla per i suoi sforzi volti a proteggere, tra l'altro, le donne dalle discriminazioni e dalle umiliazioni a cui sono sottoposte - si legge nell’appello inviato alle istituzioni -, in violazione del principio di civiltà sancito dall'articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, ratificata dall'Iran nel 1948, secondo il quale “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”, dove la dignità viene ancora prima dei diritti».
Ma non solo. L’appello è anche affinché la comunità internazionale e le istituzioni europee, che intrattengono un dialogo con l’Iran, condannino «tutte le forme di violenza, comprese le esecuzioni, le discriminazioni e le persecuzioni, riconoscendo le libertà di pensiero, di coscienza, di religione, di espressione, di riunione e di associazione, nonché il diritto a un processo equo, come fondamenti del vivere civile». Avvocati, magistrati, organizzazioni non governative e società civile alzano dunque la voce per denunciare «queste violazioni dei diritti e delle libertà fondamentali e nel sostenere i difensori dei diritti umani. Non vogliamo altri martiri da piangere, ma eroi il cui esempio possa essere seguito».
Ed è per questo che è necessario un impegno effettivo e pratico per porre fine alle «persecuzioni giudiziarie» nei confronti di Sotoudeh, già condannata nel 2018 in contumacia a 33 anni di carcere e 148 frustate per riunione e collusione contro la sicurezza nazionale, diffusione di propaganda contro il sistema, appartenenza effettiva ai gruppi scissionisti illegali e pericolosi per la sicurezza pubblica “Defenders of Human Rights Centre”, “Legam” e “National Council of Peace”, favoreggiamento della corruzione dei costumi e prostituzione, fornendo i mezzi per farlo, essersi presentata senza l'hijab, prescritto dalla Sharia, nei locali dell'ufficio del magistrato, aver turbato l'ordine pubblico e la sicurezza e diffondere falsità con l'intento di turbare l'opinione pubblica.
Sentenza contro la quale Sotoudeh non ha presentato ricorso, in quanto per evitare che «la mia partecipazione in tribunale e le mie contestazioni legali alle sentenze emesse creassero la percezione che i giudici di questi tribunali potessero essere considerati legittimi - ha spiegato al Dubbio lo scorso anno -. Volevo urlare, il più forte possibile, affinché la mia voce fosse udita da tutti, e smascherare i tribunali rivoluzionari e i loro giudici giurati che farebbero qualsiasi cosa a qualsiasi costo per proteggere il sistema».
I firmatari hanno richiamato i principi della Dichiarazione delle Nazioni unite sui difensori dei diritti umani e i principi fondamentali delle Nazioni unite sul ruolo degli avvocati, che sanciscono la responsabilità degli Stati. «Se non difendiamo i difensori dei diritti umani, chi difenderà i diritti umani?», si legge nell’appello. Subito dopo l’arresto era stato il Cnf ad esporsi pubblicamente, condannando con fermezza l'arresto di Soutodeh e chiedendo alle autorità iraniane «l’immediato rilascio e la garanzia che i diritti previsti dalle convenzioni internazionali e i principi del giusto processo le siano garantiti oltre a tutte le cure mediche necessarie».
A chiedere il rilascio della collega anche gli avvocati dell’Unione camere penali italiane, che hanno aderito alla Call for action. «La ferocia del regime iraniano, che uccide le donne che rivendicano i loro diritti o che semplicemente non indossano il velo, continua a colpire anche le avvocate impegnate nella difesa dei diritti umani - si legge in una nota -. Ci lega a Nasrin una solidarietà profonda e la vicinanza per il suo concreto impegno in difesa delle donne iraniane e dei diritti del suo popolo».