La stagione delle riforme nella giustizia può non bastare, se mancherà un diverso approccio culturale dal quale dipende una rivisitazione della funzione della giustizia stessa. Gerardo Villanacci, avvocato, ordinario di Diritto privato nell’Università Politecnica delle Marche ed editorialista del Corriere della Sera, è fortemente convinto di questo.

Professor Villanacci, il 2023 si è aperto con grandi aspettative. Le riforme della giustizia aiuteranno il Paese a riprendersi e a intraprendere la via dello sviluppo anche economico?

Il futuro, non essendo predeterminato, è nelle nostre mani. Con ciò intendo dire che molto dipenderà dalla concreta attuazione e interpretazione delle recenti riforme, che, come noto, hanno riguardato i settori penale, civile e tributario. È inutile nascondere che, soprattutto per la riforma penale, vi sia un tutt’altro che trascurabile dissenso espresso tanto da parte della magistratura che, anche se in modo più contenuto, dall’avvocatura.

Tuttavia, ricordando che le riforme sono state poste dall’Unione Europea quale condizione ineludibile per la concessione dei fondi stanziati con il Pnrr, sarebbe un errore non coglierne l’essenza. Se vi sarà una loro attuazione e interpretazione ispirata a finalità propositive, si potrà effettivamente conseguire l’obiettivo della riduzione del 40% dei tempi di durata dei processi civili e del 25% di quelli penali, a partire dal 2026.

È giusto anche sottolineare che in alcune materie, mi riferisco in particolare a quella del diritto di famiglia, possiamo dire che, quella attuata, è la riforma più importante dal 1975 posto che le novità introdotte riguardano l’istituzione di un nuovo Tribunale per le famiglie, il quale, nel sostituire quello per i minorenni, si occuperà, con profili di alta specializzazione, di tutte le problematiche familiari. Devo, però, aggiungere, con analoga franchezza, un’altra cosa.

Dica pure…

Le riforme, per quanto importanti, da sole non bastano poiché unitamente alle stesse deve essere promosso un diverso approccio culturale che rivoluzioni la funzione della giustizia, che, soprattutto dopo la terribile esperienza della pandemia, deve fondare su valori protesi alla solidarietà. Le problematiche della giustizia non riguardano unicamente la lunga durata dei procedimenti, ma anche fenomeni non propriamente qualificabili come tecnico-giuridici. Primo tra tutti la mancanza di aderenza ai valori affermati dalla nostra Costituzione. Ben vengano riforme ispirate alla semplificazione dei modelli procedimentali, ma a condizione che siano meglio tutelate le garanzie costituzionali frequentemente violate.

Innanzitutto il principio di certezza del diritto, troppo spesso intaccato dalla imprevedibilità ed eterogeneità delle decisioni. Un fenomeno sempre più marcato e in contrasto con l’uniformità o quantomeno con la concordanza giurisprudenziale. Si tratta di tematiche centrali poiché costituiscono le ragioni che alimentano la diffusione delle controversie, anche con le impugnazioni delle decisioni, facendo affidamento sul rapido mutamento interpretativo.

Un mese fa la Corte dei Conti ha rilevato che la digitalizzazione del processo civile è molto utile, ma auspica un maggiore ricorso agli strumenti extragiudiziali per la risoluzione delle controversie. Cosa ne pensa?

Premesso che, oggi più che mai, il potere giudiziario è chiamato a profondere maggiore impegno per dare concreta e uniforme applicazione al diritto attraverso l’interpretazione dello stesso in linea con i nuovi bisogni sociali e dei cittadini, la Corte dei Conti, alla quale è affidata in via esclusiva la giurisdizione contabile, è impegnata nell’espletamento di una funzione per certi versi più delicata poiché volta al controllo sulla gestione dello Stato e degli altri enti pubblici. Un’attività molto rilevante in considerazione dei consistenti investimenti previsti per la concreta attuazione del programma di riforme che il nostro paese dovrà realizzare con il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Anche per queste ragioni, i pareri espressi dalla magistratura contabile devono essere tenuti in grande considerazione.

A cosa si riferisce in particolare?

Per quanto riguarda le considerazioni svolte in merito al processo civile telematico e agli obiettivi di maggiore efficienza che si intendono raggiungere con la digitalizzazione dei giudizi, sono condivisibili i dubbi sollevati in ordine alla complessità del percorso da seguire tenendo conto che lo stesso, senza una preventiva adeguata formazione, ha coinvolto, solo tra il 2014 e il 2020, circa 1,2 milioni di professionisti. Inoltre sono stati depositati oltre 56 milioni di atti telematici e 34 milioni di provvedimenti nativi digitali. È evidente che stiamo attraversando una fase di transizione molto importante che potrà effettivamente proiettarci in una nuova e più efficace dimensione, soltanto se saremo in grado di affrontarla impegnandoci, in primo luogo, nella formazione a tutti i livelli.

Una serie di cariche, comprese quelle che riguardano gli organi di autogoverno, sono state rinnovate o stanno per esserlo. Grandi aspettative per profili di altissimo livello?

Innanzitutto è bene chiarire che per completare il percorso di riforme è necessario che accanto alle già attuate, venga realizzata anche quella, per altro non ulteriormente differibile, della magistratura. Dal mio punto di vista, quella più importante per recuperare la fiducia nella giustizia. Si consideri che l’impopolarità e la sfiducia verso il complessivo sistema giudiziario, solo nel biennio 2019-2020, ha indotto circa il 30% dei cittadini a rinunciare ad intraprendere procedimenti giudiziari a tutela dei propri diritti violati.

Ovviamente le ragioni sono composite e sarebbe ingiustificato ritenere che vi sia una responsabilità in via esclusiva dei magistrati, molti dei quali di alta integrità morale e preparazione. Tuttavia, è un dato incontrovertibile, anche se sottovalutato, che ai giudici è demandato il fondamentale compito di applicare le leggi attraverso un’interpretazione che deve risultare coerente alla loro funzione di garante dell’ordine sociale e del rispetto del principio di certezza del diritto.