Si può fare a meno degli avvocati? No, in generale. Ma ancor meno in una fase così tellurica per il quadro politico del Paese. È un messaggio che forse l’avvocatura non ha neanche più necessità di veicolare da sola.

Saranno probabilmente le istituzioni dello Stato a riconoscerlo, senza particolari sollecitazioni, all’inaugurazione dell’anno giudiziario del Consiglio nazionale forense, prevista per domani alle 11 a Roma. Parleranno nell’ordine la seconda carica della Repubblica Maria Elisabetta Alberti Casellati, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e i vertici di Cassazione e Consiglio di Stato, vale a dire Giovanni Mammone e Filippo Patroni Griffi.

Il presidente del Cnf Andrea Mascherin terrà la sua relazione subito dopo il saluto della presidente del Senato. Ma appunto, il massimo rappresentante dell’avvocatura potrebbe persino non dover provvedere direttamente, nel rammentare l’imprescindibilità della professione forense all’interno del sistema democratico. Nel pieno di un’agitazione così frenetica degli schemi su cui si regge l’assetto istituzionale, il dato è nei fatti e non potrà sfuggire alle autorità chiamate alla cerimonia.

I segni di un riconoscimento della funzione dell’avvocato vanno colti in almeno due passaggi. Il primo è la presentazione a Palazzo Madama del ddl che introduce in Costituzione l’esplicito richiamo del ruolo del difensore. Un atto politico chiaro, anche per la sintonia con cui vede schierati i due partiti di maggioranza, Movimento 5 Stelle e Lega, i cui capigruppo al Senato hanno depositato insieme il testo.

Non è una scelta di piccolo significato: in una fase che vede la politica, già scossa dall’emergere di due forze che hanno archiviato il vecchio bipolarismo, resa ancor più magmatica dai contrasti nella stesa alleanza di governo, l’avvocatura appare come custode non solo delle garanzie ma anche di una civiltà del confronto basata sul diritto. Più volte lo stesso Mascherin ha indicato nella professione forense il presidio dei valori e delle regole che fanno della democrazia il sistema del confronto e non una lotta consumata nell’odio. Tale funzione è evocata dal ddl sull’avvocato in Costituzione ed è ormai innegabile per chiunque abbia a cuore le sorti dello Stato.

Il secondo elemento che attesta il riconoscimento di un ruolo strategico della professione forense per il sistema democratico è nelle parole più volte pronunciate dal guardasigilli Bonafede sul Cnf come suo «punto di riferimento costante». Il ministro ne ha parlato, solo per citare l’occasione più recente, anche nel suo intervento alla prima seduta giurisdizionale del nuovo Consiglio nazionale forense, svoltasi nella sede di via Arenula, dunque all’interno dello stesso ministero della Giustizia.

In quella occasione, lo scorso 16 maggio, Bonafede ha indicato la massima istituzione dell’avvocatura come un fattore di equilibrio e di stabilità nei rapporti tra la politica e il sistema giustizia. E tale riconoscimento ha tanto più valore se si considera la distanza, che pure esiste, in materia di politica giudiziaria, tra la stessa avvocatura e l’attuale esecutivo. «Ci sono cose che condividiamo e altre che non condividiamo, ma il rapporto deve essere basato sulla lealtà e sull’offrire un’alternativa valida quando non siamo d’accordo», ha detto Mascherin in quell’occasione. Proprio considerata la differenza tra le vedute degli avvocati e quelle del governo, in particolare sul processo penale, il riconoscimento del guardasigilli dimostra come il ruolo dell’avvocatura sia comunque irrinunciabile.

L’inaugurazione di domani si terrà a Villa Aurelia, a partire dalle 11, e dopo la cerimonia vera e propria si svolgerà un confronto su un tema che forse dà sostanza e contenuto proprio a quel ruolo di mediazione civile prima ricordato. Il titolo, “Garantismo: un’idea di Stato”, rimanda a un intervento firmato l’ 11 maggio da Mascherin sul Corriere della Sera, in cui il presidente del Cnf argomenta, da una parte, la distinzione tra garantismo e innocentismo e, dall’altra, il valore profondo che la cultura delle garanzie ha non solo rispetto alla mediatizzazione del processo penale, ma anche riguardo al più generale rapporto tra Stato e cittadino.

È questa un’idea riecheggiata più volte negli interventi di Mascherin alle cerimonie inaugurali della giustizia, e in particolare in quella svolta il 15 febbraio scorso presso la Corte dei conti. Come aveva detto anche altre volte, Mascherin ha ribadito in quella occasione che la cultura del sospetto è il peggior antidoto all’illegalità, e che passi avanti contro i fenomeni di criminalità economica si compiono solo con «un contratto tra Stato e cittadino fondato sul reciproco affidamento», anziché sulla riserva del sospetto.

Proprio in tale principio è il nucleo ultimo della differenza tra avvocatura e attuale governo anche sulla giustizia penale. Fidarsi è l’opposto che vedere ovunque l’insidia della corruzione. Alcuni provvedimenti contestati dall’avvocatura, come diverse delle norme della “spazza corrotti”, scontano lo scarto fra le due visioni ricordate. Un rapporto costruttivo fra politica e avvocatura non basta, ma è il presupposto indispensabile perché quella visione basata sulla diffidenza si rovesci nel suo contrario. Non è alle viste un cambio di strategia, da parte di Bonafede e del suo Movimento, dalla repressione del malaffare alla cultura dell’affidamento, ma i riconoscimenti arrivati, da parte del ministro, nei confronti dell’avvocatura, sono appunto un primo indispensabile passo.