Da settimane i giovani praticanti avvocati d’Italia che si apprestano a concludere l’agognato periodo di pratica forense e – contestualmente – a preparare l’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione vivono nel limbo sulle modalità che lo stesso avrà per la sessione 2023. Ansie e incertezze più che legittime dal momento che, terminata definitivamente l’emergenza epidemiologica, tutto o quasi è tornato o sta tornando alla normalità. Eppure, non è detto che il ritorno allo status quo ante sia di per sé obbligatorio né sempre auspicabile.

Proprio sull’esame di Stato per l’accesso alla professione forense si è discusso molto, infatti: in particolare, tra chi era favorevole al ritorno della modalità tradizionale, con le 3 prove scritte e l’orale, chi si dichiarava favorevole a mantenere (almeno ancora per quest’anno, attese le tempistiche assai strette per una riforma in itinere) la modalità del doppio orale, e infine la terza via di chi ha suggerito una mediazione, vale a dire il recupero dello scritto, limitato a un solo atto, e un orale (“a formazione progressiva”, verrebbe da dire).

Ad onor del vero, come fatto attentamente osservare da molti commentatori, la questione sulle modalità con cui valutare i giovani che si apprestano all’esercizio della professione forense è solo l’ultimo anello della catena; ciò che andrebbe strutturalmente e organicamente riformata è, a monte, tutta la catena! La professione forense è in continuo cambiamento, un cambiamento che è in realtà iniziato già da tempo, di fronte al quale occorre inevitabilmente compiere delle scelte di fondo, coraggiose, di riforma complessiva dell’accesso alla professione, partendo dai banchi dell’università.

Il primo step di riforma non può quindi non iniziare da una profonda revisione della facoltà di Giurisprudenza, una delle poche ad essere rimasta tale e quale: negli insegnamenti, nei programmi di studio e nelle modalità di trasmissione della conoscenza. Tutto cristallizzato ai tempi in cui gli ultimi grandi principi del Foro si formavano. Solo in alcune università, dotate di professori più visionari, si tenta di aggiornare: insomma, un immobilismo tipicamente italiano.

In questo contesto si inserisce il recente emendamento proposto da alcuni deputati di Forza Italia e di Fratelli d’Italia, già approvato in commissione Bilancio della Camera. Si tratta appunto della proposta che, su indicazione delle principali rappresentanze dell’avvocatura, a cominciare da Cnf, media tra chi criticava la modalità (rectius, il mantenimento anche per la sessione 2023) del doppio orale poiché priva della prova scritta, ritenuta invece indispensabile per valutare un aspirante avvocato, e chi invece del doppio orale apprezzava in particolar modo la immediatezza e trasparenza della correzione (del primo orale) a scapito dell’alea che si è sempre creata attorno a quella dei tre scritti.

E così per la sessione 2023, l’esame di Stato dovrebbe svolgersi con le seguenti modalità: redazione di un atto giudiziario su un quesito, proposto in una materia scelta dal candidato, tra diritto civile, diritto penale e amministrativo; orale articolato in tre momenti, ossia la risoluzione di un caso pratico (l’ex primo orale), la discussione di brevi questioni che dimostrino le capacità argomentative e di analisi giuridica del candidato relative a tre materie, di cui una di diritto processuale, scelte dal candidato tra diritto civile, diritto penale, diritto amministrativo, diritto processuale civile o penale, e infine dimostrazione di conoscenza dell’ordinamento forense e dei diritti e doveri dell’avvocato. Un esame di Stato completo che si propone di verificare tutte le abilità imprescindibili di un aspirante avvocato.

A parere di chi scrive, si tratta di una proposta – “sperimentale”, come è stata definita – che trova il giusto compromesso tra la modalità tradizionale e quella del doppio orale, che verosimilmente rimarranno solo un ricordo.

È da accogliere con favore, infatti, la reintroduzione dello scritto, nella sua forma migliore della redazione di un atto giudiziario (che una pratica forense seria e professionale dovrebbe consentire di svolgere con una discreta agilità), a scapito dei pareri pro veritate, desueti e poco utilizzati nella pratica quotidiana (non nel penale quantomeno).

Valga però, in chiusura, una nota sull’iter con cui si è arrivati a questa proposta, che sembrerebbe ormai definitiva. Che forse la modalità del doppio orale fosse troppo semplice o anche solo incompleta è un dubbio che si sono posti in molti; l’eventualità che – terminata la pandemia – sarebbe potuto cambiare non era del tutto remota. Eppure, arrivati ormai in prossimità dell’estate, si pensava che il legislatore per quest’anno avesse potuto mantenere ancora quella modalità, posticipando l’intervento riformatore alla sessione d’esame successiva. Il fumus che questa convinzione pian piano potesse sgretolarsi si è percepito quando, non più di un mese fa, erano state diffuse delle circolari del ministero con le quali si chiedeva alle Corti d’Appello di indicare le disponibilità logistiche per il ritorno a un ipotetico esame in forma tradizionale. A seguito di una compatta levata di scudi da parte dell’istituzione e delle associazioni forensi, si è chiesto a gran voce un rapido confronto con il ministero, il quale, disponibile ad ascoltare le diverse istanze, ha poi accolto l’indicazione per il nuovo modello di esame.

Ciò che sembra consegnare tutto questo scambio istituzionale è una certa leggerezza iniziale, da parte del governo, con cui, rispetto all’esame di Stato, ci si è occupati di migliaia di giovani, la futura classe forense del Paese: costretti a virare in corso d’opera le modalità di preparazione, a dover acquistare manuali, compendi, formulari, codici commentati diversi e ulteriori rispetto a quelli già reperiti. In definitiva, è opinione di chi scrive che l’unico modo per scongiurare il pericolo di un definitivo distacco dei giovani dalla professione forense sia forse quello di restituire la giusta dignità sociale a quel formidabile periodo di vita che ha caratterizzato la carriera di ogni avvocato, qual è quello della pratica forense.