Alcuni giorni addietro, il tam tam dei social si concentra su un singolare avviso che un giudice del Tribunale di Roma ha formulato nel dare notizia a un indagato della fissazione di una udienza camerale. Conviene intanto evitare equivoci e darne contezza integrale:
(Il giudice) avvisa le persone indagate che se è loro diritto non partecipare all’udienza come sopra fissata, è doveroso per legge per il Giudice, in relazione alla stessa, ove non diano mandato ad un Difensore di fiducia, nominare loro e citare per l’udienza (come viene fatto con il presente atto) un difensore d’ufficio che per legge (art. 31 disp. att. c.p.p.) ha diritto di chiedere una retribuzione alla persona indagata che ha difeso e per la quale sia comparso nell’udienza sopra indicata. La persona indagata che, come suo diritto, non voglia comparire all’udienza e voglia limitarsi ad attendere la decisione del Giudice senza trovarsi nella condizione di dover retribuire il Difensore d’ufficio, contatti quindi il Difensore d’ufficio come sopra nominatole e lo inviti espressamente e formalmente, a mezzo Posta Elettronica Certificata o racc. A.R. o in altro documentato modo, a non comparire all’udienza fissata ed in generale a non svolgere alcuna attività difensiva”.

La notizia – è sin troppo evidente – ha dignità per esser commentata, tanto che, nel volgere di poche ore, lo fanno tutti. Tranne l’associazione dei panettieri (non è mia, ma di un’amica).
Come spesso accade nelle cose mediatiche, il circo si autoalimenta, dando anche la stura ad un gioco massimalista a chi la dice più grossa, a chi si indigna di più, a chi propone mezzi cruenti di repressione (ma di cosa?) e persino a chi rivendica nervosamente la primazia temporale della diffusione, lamentando che non gliene si dia credito (ingrati che sono gli avvocati!).
Insomma, a riflessioni più o meno attente, ma ragionate, se ne affiancano di anacronistiche, che se ti azzardi a non condividerle sei un cameriere in livrea, un servo della gleba planetaria. Qualche giorno è passato da quando la notizia è uscita, ma la polemica non si placa (quella buona e quella cialtrona); può essere allora utile provare a dire un paio di cose. Anzi tre.
Primo.
Non si dice a un indagato che è suo diritto non partecipare all’udienza. Gli si dice semmai, all’opposto, che è suo diritto (e non dovere) farlo: nel sistema utilitarista della giustizia penale (e dell’agire umano) il diritto di fare una cosa implica il suo contrario e solo se intendi polarizzare l’attenzione sull’assenza inverti la logica dell’argomento. Un po’ alla Nanni Moretti.
Secondo.
Il difensore d’ufficio che si ha l’obbligo di nominare – anche se, sembra di capire, un po’ di malavoglia – ha diritto ad essere retribuito non solo se partecipa all’udienza alla quale non lo si vorrebbe, ma pure se “soltanto” esamina il caso, vede il fascicolo, colloquia con il cliente. Avvertirlo nei termini usati, dunque, servirà solo ad accrescere la possibilità di lasciare il giudice da solo in aula a decidere, non ad altro.
Terzo.
Non sta bene dire all’indagato che può limitarsi ad attendere la decisione del giudice senza spiegargli che, in un sistema accusatorio, il tasso di correttezza di quella decisione è sempre direttamente proporzionale al conflitto dialettico tra accusa e difesa (sì, sempre: anche quando il difensore dice sciocchezze). Facciamoglielo allora completo quest’avviso.
E siccome una cosa tira l’altra, dico pure la quarta.
Se è vero che l’avviso accende (e meno male) il red alert posizionato sulla Toga, perché invade uno spazio sacro tra l’avvocato e l’assistito, come pure quello posizionato nella tasca dell’indagato, che non vorrà spender quattrini per un difensore di ufficio che assimila ancora a quello consegnato alla storia dai luoghi comuni, è vero pure che di scene pietose in aula, ad opera di difensori d’ufficio improvvisati e arrivati a piazzale Clodio di passaggio provenendo direttamente da via Lepanto, ne abbiamo viste tutti; con buona pace degli sforzi profusi dall’Unione delle Camere Penali Italiane e dalla Camera Penale di Roma per la formazione.
Ecco, invece di indignarci e gridare soltanto, proviamo a capire le ragioni culturali di un avviso così. Poi, se proprio ne abbiamo voglia, proclamiamo l’astensione a oltranza.