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Sono passati neppure cinque mesi dall’entrata in vigore della legge 49 del 2023 sull’equo compenso e già si pena di migliorarla con una nuova proposta normativa. D’altronde, quando a fine maggio la maggioranza decise di accantonare affinamenti pure ritenuti necessari (anche dall’avvocatura) e di privilegiare la rapidità nell’approvazione del testo, ci si ripromise di intervenire a breve sui punti rimasti in sospeso.
Così ieri è stata depositata in Senato la proposta di legge sulle “Norme in tema di conferimento di efficacia di titolo esecutivo ai pareri di congruità emessi da Ordini e Collegi professionali”, a prima firma della leghista Erika Stefani, che è anche avvocata. L’obiettivo di questo primo tentativo di migliorare l’efficacia della norma lungamente attesa è di estendere la disposizione che consente ai professionisti di ottenere dai propri Ordini o Collegi professionali pareri di congruità, con valore di titolo esecutivo.
Attualmente, in virtù dell’articolo 7 della legge 49/2023, tale possibilità è limitata ai rapporti professionali disciplinati con questa legge sull’equo compenso, ossia solo per i compensi derivanti da convenzioni stipulate con banche, assicurazioni, Pubbliche amministrazioni, nonché con imprese con più di 50 lavoratori o con un fatturato superiore ai 10 milioni di euro annui.
È il caso di rammentare che lo stesso Consiglio nazionale forense è intervenuto su questo tema con il parere n. 24 del 23 giugno 2023, in cui, dopo aver confermato che il parere di congruità previsto dalla legge sull’equo compenso costituisce a tutti gli effetti un titolo esecutivo stragiudiziale di natura amministrativa (ex articolo 474, comma 2, n. 1, c.p.c.), con la conseguenza che, una volta decorsi i 40 giorni senza opposizione della controparte (cliente/debitore dell’avvocato), il titolo esecutivo può ritenersi validamente formato senza necessità di ulteriori adempimenti, ha anche specificato che, visto che l’articolo 11 della legge 49/2023 ha disposto che la normativa sull’equo compenso non si applica “alle convenzioni in corso, sottoscritte prima della data di entrata in vigore della medesima legge”, allora la procedura del parere sulla congruità del compenso si può applicare solo quando il cliente fa parte delle categorie indicate dalla legge sull’equo compenso (banche, assicurazioni, grandi imprese, Pa).
Partendo da questo contesto, nella relazione che accompagna la proposta, la senatrice Stefani segnala in primo luogo le difficoltà che i professionisti possono avere nell’accertare le soglie dimensionali dell’impresa cliente, al fine della valutazione della sua assoggettabilità alla legge 49/2023, per non parlare dei costi da sostenere per ottenere i dati aziendali di riferimento.
In secondo luogo, la parlamentare ricorda l’incertezza determinata dall’articolo 13 della legge 49/2023, quando il cliente è una Pa, visto che quella norma stabilisce che “dall’attuazione della legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”, circostanza che potrebbe giustificare un rifiuto da parte delle amministrazioni ad attuare concretamente la disciplina sull’equo compenso. La soluzione individuata da Stefani è quindi quella di estendere la previsione dell’articolo 7 della legge 49/2023 sul valore legale del parere di congruità del compenso del professionista (e sulla sua esecutività) a qualsiasi tipologia di cliente. E a questo scopo propone di inserire all’inizio del comma 1 dell’articolo 7 la frase “Anche al di fuori dell’ambito di applicazione della presente legge...”. Non si può certo parlare di un ripristino delle tariffe, ma certamente di una più solida tutela, per i professionisti, nell’ottenere un compenso dignitoso da qualsiasi tipo di cliente.