È stata pubblicata nei giorni scorsi in Gazzetta Ufficiale la nuova disciplina dell’equo compenso. Si tratta della legge del 21 aprile 2023, n. 49, che contiene appunto le “Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali” ed è ora rintracciabile nella G. U. n. 104, del 5 maggio 2023.

Un traguardo atteso da molto tempo dalle professioni ordinistiche, e in particolare dagli avvocati, per il cui perseguimento si è assistito ad una rara collaborazione tra le forze politiche nelle ultime due legislature ( la precedente e l’attuale), che hanno votato il provvedimento all’unanimità, sebbene non fossero mancate visioni diverse su alcuni punti controversi. Il testo è presente per il momento solo nel sito della Gazzetta Ufficiale, ma non su Normattiva, in quanto la nuova regolamentazione entrerà in vigore solo il 20 maggio, come specificano entrambi i siti, ossia 15 giorni dopo l’uscita in Gazzetta, come è da prassi per tutti i nuovi provvedimenti legislativi.

Va subito detto che le nuove regole “non si applicano alle convenzioni in corso, sottoscritte prima della data di entrata in vigore” della legge, come detta l’articolo 11 del provvedimento. Quindi, la tutela degli avvocati e degli altri professionisti, prevista dalla nuova disciplina, potrà concretizzarsi gradualmente solo in futuro, ossia mano mano che le convenzioni tra i professionisti e i “committenti forti” a cui si applica la disciplina giungeranno a scadenza, e dovranno pertanto essere rinnovate ( se lo saranno...).

Ma quali sono i principali strumenti legali di tutela per i professionisti? In primo luogo, per gli avvocati, assumono valore legale i parametri forensi, contenuti nel decreto del ministro della Giustizia 147/ 2022 ( che ha aggiornato il dm 55/ 2014), fermo restando che la remunerazione dovrà essere proporzionata “alla quantità e alla qualità del lavoro svolto al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale”, come sancisce l’articolo 1 della legge 49/ 2023. Va detto però che questa tutela è circoscritta a un numero limitato di clienti, ossia, come precisato dall’articolo 2, a:

  1. banche e assicurazioni ( incluse società controllate e mandatarie);
  2. imprese con più di 50 dipendenti, oppure con ricavi annui superiori a 10 milioni di euro;
  3. pubbliche amministrazioni e società a partecipazione pubblica ( ex decreto legislativo 175/ 2016), salvo gli agenti della riscossione ( ossia l’Agenzia delle Entrate- Riscossione), che devono solo garantire “la pattuizione di compensi adeguati all’importanza dell’opera, tenendo conto, in ogni caso, dell’eventuale ripetitività della prestazione richiesta”.

È il caso di precisare che le soglie dimensionali relative alle imprese vanno riferite all’anno precedente a quello dell’incarico al professionista, come puntualizza il comma 1 dell’articolo 2, ma vi potrebbero essere incertezze se l’incarico al professionista venisse attribuito da un’impresa nei primi mesi dell’anno, quando ancora non sono ufficiali i dati di bilancio dell’anno precedente, nell’ambito dei quali rientrano i ricavi. Non è poi chiaro come possa il professionista accertarsi di quei dati aziendali ( e quindi dell’assoggettamento del cliente alla nuova normativa sull’equo compenso), visto che il numero di dipendenti è noto solo all’Inps, che certamente, in assenza di norme esplicite, si guarderà bene dal comunicarle a chicchessia, per non parlare poi del concetto di “ricavi”, che è piuttosto vago, e che sarebbe stato meglio definire con una voce del bilancio codicistico, o di un campo della dichiarazione dei redditi delle imprese. Va detto poi che l’accesso ai bilanci delle imprese, sebbene possibile, non è un’operazione gratuita, e in ogni caso richiede un impegno non banale, dovendosi districare nella complessa banca dati del Registro delle imprese.

Per quanto poi riguarda le Pa vi è la spada di Damocle costituita dall’articoilo 13 della legge 49/ 2023, in base al quale “dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”, che potrebbe diventare la scusa per consentire alle amministrazioni pubbliche di fare “orecchie da mercante” quando i loro professionisti di fiducia tenteranno di introdurre il tema dell’adeguamento tariffario in base alla nuova legge sull’equo compenso.

Sicuramente la disposizione più utile della legge 49/ 2023 è quella contenuta nell’articolo 3, che individua con chiarezza le clausole dell’accordo tra professionista e cliente ( ma solo se quest’ultimo rientra nelle categorie indicate nell’articolo 2, sopra richiamate) che sono considerate vietate, e quindi nulle. Vale la pena richiamare le principali clausole non più ammesse dalla legge:

  1. il divieto di acconti, o l’obbligo per il professionista di anticipazione delle spese, o addirittura la sua rinuncia al rimborso spese
  2. la possibilità per il cliente di modificare unilateralmente le condizioni del contratto
  3. la facoltà per il cliente di pretendere prestazioni aggiuntive che il professionista deve eseguire a titolo gratuito
  4. la previsione di termini di pagamento superiori a 60 giorni dalla data di ricevimento della fattura da parte del cliente. Insomma una legge con luci e ombre, che impegnerà non poco i professionisti per farla rispettare.