Marcia spedito l’iter legislativo del provvedimento sull’equo compenso. Era giunto quasi al traguardo nella precedente legislatura, quando venne meno solo l’ultimo passaggio, ossia l’approvazione dell’aula del Senato, che invece, nel luglio scorso, proprio quando era calendarizzata la ratifica dell’AS 2419, fu improvvisamente “paralizzata” nella gestione della crisi del governo Draghi. Adesso la nuova maggioranza ha recuperato il testo della proposta di legge, che rafforza i diritti dei professionisti relativamente alla propria remunerazione, nella stessa versione approvata nell’autunno 2021 dalla Camera e, nei mesi successivi, dalla commissione Giustizia di Palazzo Madama. La coalizione di governo ha riproposto dunque, stavolta nella commissione Giustizia di Montecitorio, il medesimo articolato (classificato come AC 338) con l’attuale premier Giorgia Meloni come prima firmataria, analogamente a quanto avvenuto nella scorsa legislatura.
Presentato il 13 ottobre del 2022, con la firma di altri deputati di FdI, il provvedimento è stato dapprima abbinato a quello del parlamentare leghista Jacopo Morrone ed è stato quindi votato come testo base ieri in commissione Giustizia. Dove, poco fa, sono stati respinti tutti gli emendamenti presentati. Nella seduta di domani, l’organismo di Montecitorio voterà il mandato alle relatrici, le deputate Carolina Varchi (FdI) e Ingrid Bisa (Lega).
La prossima tappa è l’approvazione del provvedimento nell’aula di Montecitorio, dove l’equo compenso è atteso per lunedì prossimo, per passare poi in seconda lettura al Senato, dove, in caso di assenza di modifiche (come tutto lascia immaginare), potrà essere approvato, e inviato quindi in Gazzetta Ufficiale.
Proprio la “sovrapponibilità” del testo adottato ieri alla Camera con quello arrivato a un soffio dal sì definitivo nella scorsa legislatura consente di ricorrere all’articolo 107 del Regolamento di Montecitorio, il quale prevede, in casi del genere, che il provvedimento sia considerato urgente dall'Assemblea, e che quindi, su richiesta del governo, o di un presidente di un gruppo, possa essere oggetto di un termine di 15 giorni affinché la commissione competente riferisca il testo in Aula.
L’articolato ribadisce la definizione di “equo compenso”, che secondo l’articolo 1 dell’AC 338 è la “corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale”, e che per gli avvocati, e gli altri Ordini professionali, coincide con i compensi stabiliti dai parametri fissati per decreto dal ministero della Giustizia. Importante è l’ambito di applicazione previsto per questa disciplina (art. 2), costituito dai “rapporti professionali aventi ad oggetto la prestazione d’opera intellettuale, di cui all’art. 2230 c.c., regolati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività professionali svolte in favore di imprese bancarie e assicurative (...) e delle imprese che, nell’anno precedente al conferimento dell’incarico, hanno occupato alle proprie dipendenze più di 50 lavoratori, o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro”. Inoltre la disciplina si applica anche alle “prestazioni rese dai professionisti in favore della pubblica amministrazione e delle società disciplinate dal testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”. Una parziale limitazione del principio è però introdotta dal comma 3 dell’art. 2, quando si afferma che “gli agenti della riscossione garantiscono comunque, all’atto del conferimento dell’incarico professionale, la pattuizione di compensi adeguati all’importanza dell’opera, tenendo conto, in ogni caso, dell’eventuale ripetitività della prestazione richiesta”.
Fondamentale è poi l’articolo 3, che illustra la conseguenza dell’implementazione del principio dell’equo compenso, ossia che “sono nulle le clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, tenendo conto a tale fine anche dei costi sostenuti dal prestatore d’opera”, e indica appunto al riguardo come riferimento i parametri remunerativi contenuti nei decreti ministeriali.
L’articolo 3 elenca poi tutta una serie di clausole, vessatorie per il professionista (come l’anticipazione delle spese, la possibilità di modificare unilateralmente il contratto da parte del committente, la richiesta di prestazioni aggiuntive in modo gratuito, la rinuncia al rimborso spese), con l’importante precisazione (contenuta nel comma 4) che “la nullità delle singole clausole non comporta la nullità del contratto, che rimane valido ed efficace per il resto”. In ogni caso si consente al professionista di impugnare l’incarico non conforme alla disciplina dell’equo compenso (comma 5), e il giudice dovrà quindi applicare i parametri tariffari ministeriali (comma 6).