Sono state discusse poco fa nell’aula di Montecitorio le linee generali dell’AC 338, il provvedimento sull’equo compenso, che presto dovrebbe arrivare (per la seconda volta) al traguardo dell’approvazione in prima lettura. L’occasione è stata interessante per comprendere le opinioni dei vari partiti, e poi, in conseguenza di queste, valutare se si arriverà presto, almeno alla Camera, a una rapida approvazione del progetto di legge sull’equo compenso. In effetti, pur essendoci stata qualche segnalazione di possibili miglioramenti del testo, e un frequente riconoscimento che la norma è perfettibile, al tempo stesso vi è stata una sostanziale unanimità nell’ammissione che si tratta di un provvedimento lungamente atteso, con il conseguente auspicio di una sua tempestiva approvazione. A conferma che tutte le forze politiche condividono le considerazioni sopra richiamate, vi è stato l’intervento iniziale di Carolina Varchi (FdI), una delle due relatrici (l’altra è Ingrid Bisa della Lega), che ha ringraziato tutte le forze politiche per il loro sostegno, circostanza che, da una parte, ha evitato che la misura fosse vista come legge di bandiera di un partito piuttosto che di un altro e, dall’altra, ha facilitato un rapido esame in commissione Giustizia. La parlamentare di Fratelli d’Italia ha messo in evidenza che questo Pdl contrasterà il fenomeno di proletarizzazione dei professionisti, sempre più spesso costretti ad accettare compensi risibili da parte di committenti forti, con conseguente svendita delle proprie prestazioni, e svilimento del ruolo del professionista.
Dopo una illustrazione dei primi articoli dell’AC 338, è intervenuta l’altra relatrice, Bisa, che ha completato la descrizione del testo, evidenziandone i passaggi più significativi. Ha fatto seguito l’intervento del parlamentare del Pd Federico Fornaro, che ha richiamato tre punti critici dell’articolato attuale, ossia l’esclusione dalla tutela legale dei professionisti non ordinistici (stimati in 2-3 milioni di partite Iva), la previsione dell’illecito disciplinare per i professionisti che accettano compensi inferiori ai parametri (con il rischio di far pagare i soggetti più deboli) e l’opportunità di ampliare la platea dei soggetti committenti, essendo gli attuali parametri (10 milioni di ricavi e 50 dipendenti) troppo selettivi. In sostanza l’esponente del centrosinistra ha proposto di correggere queste disposizioni, ma ha riconosciuto al tempo stesso che è un provvedimento lungamente atteso. Si sono succeduti poi altri sette interventi, ognuno dei quali ha proposto considerazioni interessanti. Annarita Patriarca (Forza Italia) ha sottolineato come l’AC 338 consenta di estendere l’articolo 36 della Costituzione anche al lavoro autonomo, mentre Antonio D’Alessio (Azione-Iv) ha giustificato la tutela sul piano remunerativo come giusto bilanciamento dei doveri attribuiti ai professionisti, fra cui quello dell’aggiornamento professionale. Successivamente, oltre ai deputati Ylenia Lucaselli (FdI), Simonetta Matone (Lega), Marta Schifone (FdI), è intervenuta anche Carla Giuliano (M5S), che non ha nascosto la speranza di veder diminuire, grazie alla legge sull’equo compenso, il fenomeno di giovani avvocati che lasciano, in particolare al Sud, la professione, sentendosi economicamente più protetti con un lavoro subordinato.


Greco: «Sulle sanzioni serve equilibrio»


Ma cosa ne pensa l’avvocatura di questo rilancio delle misure che tutelano i professionisti? Lo abbiamo chiesto a Francesco Greco, vicepresidente del Cnf, oltre che coordinatore della commissione Compensi della massima istituzione forense, il quale ha innanzitutto ringraziato le forze politiche e gli esponenti del governo che si sono impegnati a rilanciare il provvedimento, ammettendo al tempo stesso come sia «assurdo dover legiferare su un fenomeno che non dovrebbe mai aver avuto luogo, ossia la previsione di clausole vessatorie nei rapporti contrattuali tra committenti e avvocati, che saranno nulle per legge, se l’AC 338 verrà approvato, per non parlare della previsione di compensi miserevoli, che sono stati sempre più frequenti negli ultimi anni, pur essendo vigente l’art. 36 della Costituzione».

Sulle ragioni che possano aver portato a questa situazione di degrado della condizione dei professionisti, Greco ha la seguente opinione: «Vi è stato un orientamento legislativo negli ultimi 20 anni che ha portato a considerare l’attività professionale analoga a quella imprenditoriale, con il risultato che sono stati eliminati i minimi tariffari, e questo ha aperto la strada a fenomeni di degenerazione dei trattamenti economici dei professionisti da parte di committenti forti. A questo si è aggiunto, almeno per gli avvocati, il fenomeno della maggiore inefficienza della giustizia, che ha fatto venir meno l’importanza della qualità della prestazione professionale».
Ma cosa ne pensano i vertici dell’avvocatura sugli elementi critici della futura normativa sull’equo compenso? Sull’esclusione dei professionisti non ordinistici dalla disciplina, il vicepresidente del Cnf Greco ha evidenziato come non si tratti di un problema per gli avvocati, che sono i soli titolati alla funzione giurisdizionale, mentre per quanto riguarda la questione del sanzionamento dei professionisti che non rispettano la disciplina dell’equo compenso ha ammesso che «la questione andrà valutata dopo l’approvazione della legge, ma è mia convinzione che, pur dovendo rispettare il senso delle norme, non bisognerà dimenticare che è il professionista ad essere il soggetto leso, per cui, quando bisognerà tipizzare l’illecito, occorrerà consentire un’adeguata considerazione delle circostanze in cui il mancato rispetto della normativa si è esplicato».