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Non restano ritocchi da fare: oggi l’equo compenso sarà legge. O meglio sarà approvata in via definitiva la legge che rafforza la disciplina sui compensi dei professionisti, con pubblicazione in Gazzetta ed entrata in vigore secondo l’ordinaria tempistica. Si tratta di un via libera, quello atteso per stamattina nell’aula di Montecitorio, su cui non pesano ombre.
C’è una maggioranza compatta a sostenere il provvedimento, con Fratelli d’Italia e Lega che rivendicano la titolarità formale della proposta di legge, firmata da Giorgia Meloni in persona e dal deputato del Carroccio Jacopo Morrone. Ma è un obiettivo condiviso da tutto il centrodestra, inclusa Forza Italia, che nella discussione generale aperta ieri in Aula ha ricordato, con Annarita Patriarca, che si tratta di una «sfida al mercatismo selvaggio che mortifica le libere professioni». E il sospirato sì sarà pronunciato anche dall’opposizione: certamente dai 5 Stelle, che ieri lo hanno ribadito per voce di Carla Giuliano, ma con ogni probabilità anche dal Pd (nonostante Roberto Morassut, nel proprio intervento, non lo abbia chiarito) e dall’ormai frantumato Terzo polo.
L’ok definitivo del Parlamento arriva in capo a un iter piuttosto movimentato, come da tradizione, si potrebbe dire, per la materia dei compensi professionali: il lancio verso la Gazzetta ufficiale avrebbe dovuto arrivare già il mese scorso, a Palazzo Madama, visto che maggioranza parlamentare e governo – rappresentato dal viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto – avevano assicurato di non voler muovere una virgola rispetto al testo già approvato una prima volta alla Camera lo scorso 25 gennaio, per giunta all’unanimità.
Poi però, durante l’esame a Palazzo Madama, è entrata in vigore la riforma Cartabia, che «ha modificato un riferimento normativo citato nel testo sull’equo compenso, l’articolo 702-bis del codice di procedura civile: si è passati da rito sommario a rito semplificato», come ha spiegato ieri a inizio seduta la relatrice Ingrid Bisa (Lega), intervenuta anche per conto della collega Carolina Varchi (FdI). La microvariazione del Senato ha imposto l’ultimo passaggio fotocopia che si conclude oggi nell’emiciclo di Montecitorio. Una formalità espletata in tempi record, comunque.
Il testo Meloni-Morrone riprende quasi integralmente l’articolato che aveva ottenuto il via libera nella precedente legislatura, sia in aula alla Camera, a novembre 2021, che in commissione Giustizia al Senato: saltò per un soffio, con la caduta del governo Draghi, il solo passaggio finale nell’emiciclo di Palazzo Madama, nonostante l’impegno profuso da Sisto fino all’ultimo giorno del tempo supplementare. Non si tratta, com’è noto, della prima disciplina sull’equo compenso dei professionisti: la legge base, assorbita opportunamente nel nuovo articolato, risale al 2017, quando fu inserita nel decreto fiscale e nella legge di Bilancio per il 2018, in seguito alla battaglia condotta dal Consiglio nazionale forense e dall’allora guardasigilli Andrea Orlando. Alcuni limiti applicativi di quella prima architettura emersero nel giro di pochi mesi, per via delle violazioni consumate sia dalla pubblica amministrazione che dai committenti privati (banche, assicurazioni e grandi imprese).
Tanto che l’allora presidente del Cnf Andrea Mascherin aveva istituito con l’ex ministro Alfonso Bonafede un Osservatorio per vigilare sugli abusi (ora stabilizzato dalla nuova legge all’articolo 10). Dopodiché, la stessa istituzione forense, insieme con le rappresentanze delle altre professioni, ha continuato a sollecitare migliorie al testo originario, attraverso la commissione coordinata da Francesco Greco, che una settimana fa è subentrato a Maria Masi e così è divenuto, del Cnf, il nuovo presidente.
Una continuità di impegno, per l’avvocatura, segnata anche dalle battaglie condotte e vinte, presso i Tar, dal Coa di Roma, e che è attestata dalla centralità che la professione legale mantiene nello stesso testo oggi in votazione: all’articolo 1, comma 1, lettera a), per esempio, si ricorda che i compensi delle prestazioni professionali rese nei confronti dei grandi committenti non potranno essere inferiori, «per gli avvocati», a quanto previsto dai parametri forensi; dopodiché si prosegue con analoghi richiami per gli altri Ordini.
Non sono pochi gli affinamenti introdotti. Non se ne può trascurare uno, in particolare: l’esplicito assoggettamento (all’articolo 2 comma 3) delle Pa non più al semplice «principio» dell’equo compenso ma appunto al rispetto dei «parametri» come soglia minima inderogabile. L’altra novità significativa riguarda il rischio di responsabilità disciplinare per il professionista che si accordi col committente forte per retribuzioni sotto soglia, o che non informi la controparte dell’obbligo di attenersi a quegli indicatori.
È il punto contestato ancora ieri in aula dalle opposizioni, ma che pare piuttosto, come sostenuto dalle deputate di maggioranza intervenute, una tutela indiretta per il professionista stesso. «Questa per noi è una legge di civiltà, un atto di giustizia e un atto di dignità, è la battaglia di tutti i liberi professionisti contro chi vuole calpestare un diritto costituzionalmente sancito», ha detto Marta Schifone, deputata e responsabile Professioni di FdI. E sull’inderogabilità del principio sembrano davvero tutti d’accordo.