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CORTE DI GIUSTIZIA DELL'UNIONE EUROPEA UE CURIA ESTERNO SEDE
È del 25 gennaio scorso la sentenza con cui la Corte di Giustizia dell’Ue, nel definire la causa C-438/22, sollevata dal Tribunale di Sofia e relativa all’obbligatorietà delle tariffe forensi minime in Bulgaria, ha dichiarato queste contrarie alle regole della concorrenza, fissate dagli articoli 101 e seguenti del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea. Una pronuncia che, almeno all’apparenza, metterebbe in dubbio l’applicazione in Italia dei parametri forensi e, a cascata, la legge 49/2023 in materia di equo compenso.
Al punto 56 della sentenza, la Corte di Lussemburgo afferma che “un giudice nazionale, qualora constati che un regolamento che fissa gli importi minimi degli onorari degli avvocati viola l’articolo 101, paragrafo 1, del TfUe, è tenuto a rifiutare l’applicazione della normativa nazionale che rende obbligatorio tale regolamento”. La decisione della Suprema corte europea è partita da una controversia banale, ossia la contestazione dell’onorario di un avvocato bulgaro, che aveva gestito la procedura legale per una domanda di risarcimento all’assicurazione a seguito del furto di un veicolo, che ammontando a 1.070 lev bulgari (pari a 547 euro), nel quadro di un risarcimento di poco più di 8.000 euro, è stato ritenuto eccessivo dalla compagnia di assicurazione, la quale ha fatto ricorso, chiedendo una riduzione dell’onorario: ma il Tribunale di Sofia non ha potuto accogliere la richiesta, visto l’articolo 36, comma 2, della legge sulla professione forense in Bulgaria (55/2004), la quale prevede che in quel paese “l’importo [per l’avvocato] dev’essere equo e giustificato, e non può essere inferiore a quello previsto dal regolamento adottato dal Visshia advokatski savet [la rappresentanza degli avvocati bulgari] per il tipo di prestazione”.
Ci si deve quindi attendere una disapplicazione dei parametri forensi e della legge sull’equo compenso in Italia? Il Dubbio ha posto la domanda a Enrico Mantovani, componente dell’ufficio studi del Cnf, secondo il quale vi sono significative differenze tra il sistema dei minimi tariffari forensi in Italia e in Bulgaria, tali da impedire di poter immaginare un impatto della sentenza comunitaria sul sistema italiano. “Premesso che, essendo la sentenza disponibile da poco tempo, occorrerà ancora analizzarla in dettaglio, si può però anticipare che, mentre nel Paese balcanico gli importi sono decisi in totale autonomia dall’associazione degli avvocati locali, circostanza potenzialmente contraria ai principi della libera concorrenza, che vietano accordi tra operatori economici sui prezzi e sulle quantità da vendere, in Italia i parametri forensi sono stabiliti da un decreto del ministro della Giustizia. Inoltre in Italia i parametri forensi si applicano obbligatoriamente solo in alcune circostanze, a differenza del sistema bulgaro, che è universale, ovvero prevede la vigenza dei minimi per tutti i clienti. E questa ultima differenza fa ritenere che anche la legge sull’equo compenso possa continuare ad essere applicata, visto che essa è destinata solo a quei clienti con forte potere contrattuale, come Pa, grandi aziende, banche e assicurazioni”.
Certo è che anche in Italia vi sono segnali preoccupanti di disapplicazione della legge sull’equo compenso, come ricorda Mantovani: “La sentenza del Consiglio di Stato secondo la quale la disciplina sull’equo compenso è applicabile solo quando è previsto un compenso, ma non quando non è previsto, in contrasto con lo spirito della legge, come sostiene il Cnf, e l’articolo 8 del Codice degli appalti, che prevede la possibile gratuità delle consulenze legali, fanno ritenere che ci sia ancora una lunga strada perché il principio dell’equo compenso diventi effettivo nel nostro sistema”.