Il Consiglio nazionale forense conferma un duro colpo per un avvocato che ha compromesso l'integrità professionale durante un'apparizione televisiva. Il legale in questione è stato sospeso per due mesi dall'esercizio della sua professione a causa di gravi violazioni del codice deontologico. La sentenza n. 156/2022 emessa dal Cnf sottolinea l'importanza di un codice di condotta più rigoroso per gli avvocati rispetto ai cittadini comuni.

La vicenda ha avuto origine da un episodio in cui un avvocato è stato sanzionato dal Consiglio di disciplina di Firenze per le sue dichiarazioni durante la partecipazione a un programma televisivo in qualità di opinionista. Il Consiglio di disciplina ha accusato l'avvocato di violare i doveri di probità, dignità e decoro, il dovere di segretezza e riservatezza, nonché i doveri nei rapporti con i media e durante le attività di comunicazione (art. 57 codice deontologico).

In risposta alla sanzione disciplinare, l'avvocato ha presentato un ricorso al Consiglio nazionale forense, chiedendo di essere assolto dalle accuse o di ricevere una sanzione meno grave. Nel ricorso, sono stati presentati vari argomenti per sostenere la posizione dell'avvocato, cercando di dimostrare l'inesistenza della violazione contestata e la presunta leggerezza e scusabilità del suo comportamento. Tuttavia, il Consiglio dell'Ordine degli avvocati ha deciso di impugnare la decisione del Consiglio di Disciplina, sostenendo che la sanzione applicata era inadeguata e contraddittoria nella motivazione del provvedimento disciplinare. Pertanto, il Consiglio dell'Ordine ha richiesto una sanzione più severa, ovvero la sospensione dell'attività professionale, evidenziando la responsabilità deontologica dell'avvocato coinvolto.

Il Consiglio nazionale forense ha ritenuto che il ragionamento del Consiglio di Disciplina fosse corretto nell'applicare la sanzione prevista dall'articolo 57 del Codice deontologico forense, ma ha espresso disaccordo sull'applicazione dell'attenuante. Il Consiglio di Disciplina, con una motivazione poco convincente, ha considerato la resipiscenza come un fattore "formale" e ha deciso che la sanzione della censura fosse adeguata. Tuttavia, questo assunto non è condivisibile, specialmente considerando che i comportamenti tenuti dall'avvocato sono di estrema gravità, in grado di inviare un messaggio completamente fuorviante al pubblico televisivo non specializzato e di compromettere il concetto di giusto processo, che è garantito costituzionalmente.

La resipiscenza appare inadeguata, sia per quanto riguarda le modalità che i contenuti, per giustificare l'applicazione di una sanzione attenuata. Pertanto, il Collegio ritiene che l'applicazione della sanzione edittale, ovvero la sospensione dall'esercizio della professione per due mesi, sia congrua.

In conclusione, il Consiglio nazionale forense respinge il ricorso presentato dall'avvocato e, accogliendo il ricorso del Consiglio dell'Ordine degli avvocati, infligge la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per due mesi.